Tutti gli studi condotti sul tema hanno evidenziato che il livello odierno di tassazione sui prodotti inquinanti è molto basso e non esprime in maniera adeguata il danno ambientale che la realizzazione di tali beni comporta.
Immaginiamo di essere al supermercato di fronte allo scaffale della pasta, indecisi su quale tra le decine di qualità proposte faccia al caso nostro. Quale confezione scegliamo? Potremmo preferire un impasto integrale o biologico, una miscela a base di grano duro o una ricetta proteica, oppure in assenza di preferenze potremmo optare semplicemente per il marchio più economico. Supponiamo di acquistare il pacco di pasta più economico, cosa comunica la nostra scelta a tutta la filiera produttiva? Considerando che il prezzo dei beni è normalmente legato al costo delle risorse necessarie alla produzione e distribuzione, la nostra scelta comunica che prediligiamo il prodotto richiedente una quantità minima di risorse o risorse a buon mercato. Se invece fossimo degli ambientalisti, e in quanto tali interessati all’acquisto di un prodotto la cui filiera produttiva risulti essere poco impattante sul pianeta, quale sarebbe il pacco di pasta adeguato alle nostre necessità? In questo caso effettuare una scelta sarebbe particolarmente difficile perché il peso delle emissioni di gas serra non è rispecchiato nel prezzo finale del prodotto.
Nel libro How bad are bananas, l’autore Mike Berners-Lee spiegava l’impatto ambientale che hanno i prodotti di uso quotidiano. Consultare un manuale ogni qual volta ci troviamo a dover affrontare un nuovo acquisto potrebbe risultare particolarmente macchinoso e tal proposito il concetto di Tassa sul carbonio può venire in nostro aiuto.
La Carbon Tax (tassa sul carbonio) è una ecotassa sulle risorse energetiche che emettono diossido di carbonio nell’atmosfera. Il funzionamento è molto semplice: ogni tonnellata di inquinamento di anidride carbonica rilasciata dai combustibili fossili sarà soggetta ad un’aliquota fissata dal governo.
In questo modo si rende l’impatto sul clima un costo reale che invia un segnale a tutte le filiere di produzione spingendole a scegliere l’alternativa meno inquinante, rendendo più green ogni segmento della catena di valore.
Di Carbon Tax si è discusso lo scorso 3 novembre in occasione della COP26, la XXVI Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, programmata a Glasgow (Scozia) dal 31 ottobre al 12 novembre 2021, sotto la presidenza del Regno Unito. Il 3 novembre è stata per l’appunto la giornata dedicata alla finanza per il clima; tra i temi all’ordine del giorno ci sono state le modalità per finanziare il fondo da 100 miliardi di dollari all’anno per 5 anni per aiutare i Paesi meno sviluppati a decarbonizzare, un’azione prevista già dall’Accordo di Parigi per il 2020 ma non ancora attuata e che non verrà plausibilmente attuata prima del 2023.
Kristalina Georgieva, direttrice del Fondo Monetario Internazionale, si è espressa a favore di tale ecotassa: «Crediamo che imporre un prezzo del carbonio a livello internazionale sia molto importante» per raggiungere gli obiettivi climatici dell’Accordo di Parigi e che «65 dollari al 2030 sia un prezzo equo e pragmatico», ha affermato la direttrice FMI.
«La crisi climatica è una minaccia alla stabilità dei sistemi finanziari – ha aggiunto – gli investimenti verdi invece possono generare 30 milioni di green jobs e un aumento del PIL globale del 2%».
Esistono due metodi per quantificare il valore ideale della Carbon Tax: il primo stima quali sarebbero i costi dell’energia se questi riflettessero a pieno le esternalità ambientali e sociali generate dal loro consumo, mentre il secondo calcola il prezzo da imporre su una tonnellata di anidride carbonica, coerentemente con gli Accordi di Parigi. Pur essendo state utilizzate entrambe le metodologie, tutti gli studi condotti sul tema hanno evidenziato che il livello odierno di tassazione sui prodotti inquinanti è molto basso e non esprime in maniera adeguata il danno ambientale che la realizzazione di tali beni comporta.
Secondo queste analisi, l’introduzione di una Carbon Tax genererebbe un introito non trascurabile che potrebbe essere reinvestito alla realizzazione di progetti a beneficio sia dell’ambiente, sia della salute e del lavoro.
Pertanto, a prescindere dal fatto che di fronte allo scaffale della pasta, indeciso sulla confezione da riporre sul carrello, ci sia un animalista, un vegetariano, un’appassionata d’auto d’epoca, un tornitore, una bambina o un collezionista di fumetti, tutti noi fin dall’infanzia dovremmo essere educati ed educare a nostra volta all’acquisto consapevole.
Ad oggi infatti le emissioni di anidride carbonica derivanti da combustione di carburante superano i 30 miliardi di tonnellate metriche all’anno; allo stato attuale, si prevede che tali numeri triplicheranno entro il 2100 a causa del maggior consumo energetico, soprattutto nei paesi in via di sviluppo che attualmente causano il 60% delle emissioni totali. In assenza di regolamentazione, l’aumento atteso della temperatura rispetto al livello pre-industriale è pari a 4 gradi Celsius entro la fine del secolo ed è per questo che gli Accordi di Parigi, firmati nel dicembre 2015, mirano a contenere l’aumento delle temperature a un massimo di 2 gradi. Sulla scorta di quanto detto la Carbon Tax si configura sicuramente come un valido strumento nella lotta al cambiamento climatico, indirizzando ogni singolo attore in gioco verso l’utilizzo di tecnologie più verdi.
Tale riconversione, tuttavia, potrebbe dar luogo alla cosiddetta inflazione verde: si calcola infatti che la decarbonizzazione potrebbe costare al consumatore finale un aumento dei prezzi tra l’1% e il 4%.
Secondo la giornalista del Financial Times Gillian Tett, i segnali dell’inflazione verde (greenflation) sono già visibili. Per fronteggiarne i rischi, i governi dovrebbero considerare tre fattori. In primo luogo, essere consci che l’energia rinnovabile non può ancora sostituire in toto i combustibili fossili; andranno pertanto ricercate delle soluzioni per l’accesso alle materie prime indispensabili alla svolta ambientale. In secondo luogo, sarà necessario prevedere l’impatto che l’aumento della media globale delle tasse sull’anidride carbonica avrà sui costi di produzione finali. Infine, i governi dovrebbero fare in modo di proteggere le fasce di popolazione più svantaggiate dall’aumento dei prezzi.
Nel formulare le nostre personali valutazioni, riflettendo su quanto siamo disposti a pagare per questa riconversione, non dimentichiamo di chiederci: quanto ci costerà per contro la non-azione in termini di danni?