Brigantesse

Gisella Lombardi
Letteratura

Ci vollero sei anni prima che prendessero lei e la sua banda. Se la sua vita finisce con un colpo alla nuca, non finisce così la sua storia.

In mezzo ai boschi, sui monti, si nasconde il mito delle brigantesse. Donne indomite, fuorilegge, pericolose, affascinanti. Perfette per distrarre l’opinione pubblica dalla guerra civile che imperversava nelle terre in cui abitavano. Le loro gesta, le fotografie che le ritraevano vestite da uomo, con in braccio i fucili, lo sguardo torvo, spesso scattate ed inscenate da quelli che le avevano catturate, facevano vendere i giornali, ammaliando ed orripilando il pubblico. Era quindi una motivazione politica a spingerle nelle montagne? Paladine del Regno Borbonico, nostalgiche di un altro re? Non proprio. Al contrario dei briganti quasi nessuna era stata costretta a scappare nei boschi per degli ideali politici. Non avevano leve obbligatorie, imposte dal nuovo Stato, da rifiutare, non erano state loro promesse terre da coltivare mai consegnate. La nuova situazione politica non cambiava nulla al generale stato di miseria in cui vivevano queste donne, se non che quando piemontesi o briganti ‒ cambiava poco dal loro punto di vista ‒ visitavano i villaggi le loro vite e le loro virtù erano in pericolo. E quindi perché andavano nei boschi? Come finivano emarginate dalla società? Alcune perché erano semplicemente delle criminali, altre per disperazione, tante perché associate ad un brigante, per amore, per rapimento, anche per semplice conoscenza. Nell’intento di sopprimere il fenomeno del brigantaggio le autorità colpivano tutti coloro con i quali essi entravano in contatto ‒ contatti forzati, spesso, dagli stessi briganti. Mogli e amanti venivano imprigionate nella speranza di indurli alla resa. Contadine che avevano dato loro un pezzo di pane venivano processate.

Michelina di Cesare è considerata l’icona delle brigantesse. Le foto che la ritraggono vestita con il costume tradizionale mentre posa spavalda con il suo fucile ebbero una grande diffusione all’epoca, influenzando l’iconografia delle brigantesse che vengono spesso ritratte in pose e vestiti simili ai suoi. Michelina nasce il 28 ottobre del 1841 a Caspoli. Poverissima, fin da piccola si deve arrangiare per sopravvivere con piccoli furti nei campi. Per un breve periodo sembra che la sua vita prenda una piega migliore: si sposa con un contadino rispettabile, ma dura poco. Il marito muore e lei, non si sa bene come, conosce Francesco Guerra, ex sergente dell’esercito borbonico che, rifiutatosi di passare all’esercito sabaudo, diventa brigante. Non si sa molto della relazione tra di loro, se vi fosse dell’affetto o se fosse semplicemente un rapporto di convenienza; di certo sappiamo che Michelina svolge un ruolo fondamentale nella guida della banda di Guerra: è infatti la sua strategia di attacco e guerriglia che permette loro di sfuggire per anni alla cattura. Un esempio delle sue trovate è l’incursione a Galluccio, nella quale i briganti si travestono da carabinieri per poter agire indisturbati. Ci vollero sei anni prima che prendessero lei e la sua banda. Se la sua vita finisce con un colpo alla nuca, non finisce così la sua storia. Infatti il suo corpo viene spogliato e trascinato dietro ad un carretto, a monito. L’umiliazione doveva culminare nella foto scattatale nuda e martoriata, invece quella foto cimentò solo la sua leggenda.

Un destino ben diverso invece è quello di Maria Oliviero, detta Ciccilla. Nasce a Casole Bruzio il 30 agosto del 1841, in una famiglia di modeste origini, quarta di sei figli. Tramite la sorella maggiore Teresa conosce il suo futuro marito: Pietro Monaco, ex soldato borbonico, carbonaio e amante della sorella. Non si può dire un matrimonio felice. Non solo Pietro era amante della sorella Teresa, ma incitato da questa picchiava spesso la moglie per presunte infedeltà, tanto e tanto spesso che dovevano intervenire le vicine per salvare la disgraziata. Forse Maria ignorava la tresca, o faceva finta di non sapere. Pietro dopo aver servito per un periodo sotto Garibaldi ed essere rimasto deluso dalla promesse non mantenute, quando viene chiamato nuovamente alla leva dai Savoia, decide di darsi alla macchia e unirsi ai briganti. Le autorità decisero quindi di imprigionare la moglie e l’amante per convincerlo ad arrendersi. Maria non poteva più ignorare la situazione, resa da quell’arresto palese a tutti. Una volta liberate, Teresa corre da Monaco e gli instilla il dubbio che Maria si sia data a tutti i secondini. Quando finalmente lo raggiunge Maria, questi le spara contro mancandola di pochissimo. Terrorizzata corre via e si rifugia in casa di Teresa. Quella notte stessa prende una scure e uccide la sorella con 48 colpi per poi fuggire nei boschi e tornare da Pietro, unico posto che le è rimasto. Come risolsero la questione i due non ci è dato sapere, ma da lì in avanti Maria diventa Ciccilla, brigantessa, attiva e compartecipe ai delitti e ai rapimenti. Sul suo conto girano voci contrastanti: alcuni la dipingono come assetata di sangue ed altri invece come un puntino di umanità tra tante belve feroci. Pietro Monaco viene ucciso da due traditori, nella sparatoria rimane ferita anche Ciccilla che gli dorme affianco. Premuratasi di dare il corpo alle fiamme, di modo che non potesse venire esposto e usato come monito, si dà alla macchia con quel che rimane della banda prendendone il comando. Resistono per 47 giorni. Catturata, Ciccilla viene processata e condannata alla pena di morte, commutata in lavori forzati a vita. Da qui in poi non si sa più nulla di certo. Non si hanno documenti che attestino la sua morte o la sua incarcerazione.

Le brigantesse erano donne che fuoriuscivano dal percorso tracciato, assumevano caratteristiche maschili tramite gli abiti, l’uso delle armi e della violenza, e per questo colpivano fortemente l’immaginario pubblico. E se da un lato venivano glorificate dalla propaganda borbonica, dall’altro venivano demonizzate dai Savoia. Per quanto fosse uso esporre il corpo o più spesso la testa mozzata dei briganti come monito, è singolare la violenza usata sul corpo di Michelina e la volontà di ritrarla a seno nudo in fotografia. Credo che la tentazione di parlarne come di ribelli, di donne che prendevano in mano il loro destino possa essere molto forte. Soprattutto attraverso una lente moderna. Le storie di Michelina e Maria sono solo due esempi, anche molto diversi tra loro, ma sono accomunati dalla povertà estrema, dalla condizione di oppressione della donna e del suo essere dipendente nella sopravvivenza da un marito. Tanto era fondamentale che una donna di Volturino, la mattina dopo esser stata violentata da un brigante, saputo che questi era stato catturato e doveva venir giustiziato a breve, corse a fermare l’esecuzione quel tanto che bastava perché il prete li sposasse. Era meglio essere vedova di una brigante che una donna disonorata. Nella maggior parte delle storie giunte fino a noi le donne hanno poca o nessuna scelta, legate a doppio filo agli uomini nella loro vita, subivano le loro decisioni. Alcune venivano letteralmente vendute ai briganti. Tutto ciò era esacerbato dalla politica di repressione del brigantaggio che andava a punire severamente il più piccolo contatto: bastava quindi essere stata promessa ad un uomo che in seguito diveniva un brigante per essere presa di mira. Non lasciamoci quindi sviare dal mito, ma guardiamo alle storie di queste donne in quanto tali. E forse più che ammirazione, sentiremo della comprensione, anche per quelle che furono delle vere e proprie criminali.

[1] Guerri, Giordano Bruno, “Il Bosco nel Cuore”, Mondadori (2011)

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