«Un tributo alla sua nobile, magnifica e versatile poeticità, con la quale si è sempre distinto per la chiarezza della sua ispirazione e la rara purezza del suo spirito»
Bjørnstjerne Martinus Bjørnson fu insignito, nel 1903, del premio Nobel per la letteratura.
Bjørnson nacque nel 1832 in un piccolo paese norvegese ma la Norvegia all’epoca non era indipendente: dopo circa quattrocento anni di unione con la Danimarca (la notte lunga 400 anni), nel 1814, venne ceduta al regno di Svezia dopo un’invasione durata cinque anni. Fu solo nel 1905 che la Norvegia ottenne la propria sovranità.
Bjørnson era figlio di un parroco evangelico, la religione influenzò la sua vita e le sue opere. Egli sentiva l’incompatibilità della visione cristiana, del peso della cieca obbedienza alle autorità religiose rispetto alle sue inclinazioni; provava insofferenza verso la tirannia del dogma. Va ricordato che la cristianizzazione dei territori vichinghi avvenne attraverso la frammentazione di questi ultimi e con la formazione dei vari regni di stampo feudale: il passaggio tra le due religioni (da quella pagana a quella cristiana) non fu immediato, e nonostante la forte trasformazione adattiva della figura di Cristo (attuata per facilitare la conversione), l’animo pagano di questi popoli non fu mai eliminato del tutto.
Credere nel pensiero umano, vivere nella verità!
All’epoca di Bjørnson gli ambienti rurali, sopravissuti a secoli di colonizzazione culturale, erano ancora portatori dell’anima più profonda della Norvegia. Lo scrittore, nel 1857, conobbe a Copenaghen Nicolai Frederik Severin Grundtvig, uno storico, teologo e poeta danese. Bjørnson abbracciò il ‘grundtvigianesimo’ che professava una religiosità tollerante ed aperta agli stimoli più moderni.
Solo nel XIX secolo la Norvegia vide una rinascita letterale ed artistica; i fautori in campo letterario furono Johan Sebastian Cammermeyer Welhaven e Henrik Arnold Wergeland prima e Bjørnson ed Henrik Johan Ibsen poi. Bjørnson ed Ibsen, i Dioscuri della letteratura, furono i più importanti scrittori norvegesi contemporanei; diversamente dai loro predecessori, non furono in opposizione tra loro: l’ispirazione comune trovava la sua diversificazione nell’espressione ed interpretazione propria di ciascuno di loro.
Il primo Bjørnson fu un autore consapevolmente romantico (nel Nord Europa le correnti letterarie arrivavano con un certo ritardo), la natura, il bonde [1], le antiche saghe nordiche e le ideologie di Wergeland ‒ scrittore avverso alla classe sociale più elevata (quella benestante d’origine, parlante danese e sottomessa in ogni ambito ai poteri del re) il quale auspicava una rinascita nazionale ‒ portarono l’autore alla creazione di opere andate perdute, bruciate da Bjørnson stesso quando volle perseguire il suo nuovo motto: Natura e Verità, sintesi esistenziale nella quale si antepone alla ricerca/bisogno di verità la bellezza esteriore, effimera e vacua. Abbandonati gli studi si recò in Svezia ed in Danimarca, scrisse le prime opere a noi pervenute ed ottenne il posto di direttore artistico a Bergen succedendo ad Ibsen.
Fu grazie al viaggio in Italia, e dalla sua lunga permanenza a Roma, che Bjørnson fece sua un’estetica che prendeva spunto dalla tradizione papale, da quella latina e che veniva reinterpretata in chiave nordica. Dopo il romanticismo sposò il realismo, abbandonò la Norvegia per la Danimarca considerando la sua patria non ancora pronta per le proprie opere; è proprio in questo momento che la lunga amicizia tra Bjørnson ed Ibsen finì. In verità più avanti vi fu una riconciliazione ma non ebbero più lo stretto rapporto di amicizia avuto prima: furono solamente i due più grandi scrittori norvegesi.
Ibsen pubblicò nel 1885 il dramma in cinque atti Brand, considerato da Bjørnson un’opera oscura e forzata; antitetica ad esso fu invece l’opera romantica Peer Gynt (scritta un anno dopo Brand, nel 1867, ma pubblicata prima, nel 1876); nonostante le lodi dell’amico, i commenti negativi che si leggevano tra le righe portarono Ibsen alla creazione di un personaggio fortemente caricaturale di Bjørnson ne La lega dei giovani esponendolo quindi alla satira pubblica.
Dopo il ritorno in Norvegia, Bjørnson sentì la necessità di ricostituire un’identità nazionale e di attuare allo stesso tempo un’apertura verso l’Europa per consentire al proprio Stato un adeguamento ai tempi; sentì questa necessità anche nei confronti di se stesso, e per questo decise di tornare in Italia: quì comprese definitivamente l’importanza di non chiudersi entro schemi e pregiudizi propri di un passato che, in ogni caso, non avrebbe più potuto ritornare.
La morte di Grundtvig attenuò il suo fervore di seguace e la successiva scoperta del positivismo e lo studio di Herbert Spencer e Charles Darwin lo portarono ad una nuovaposizione : “Credere nel pensiero umano, vivere nella verità!”.
In Leonarda, dramma del 1879, le varie fasi create dallo scrittore ricordano il moto ondoso: convergono e si respingono all’interno dell’opera.
Il dramma parla di un evento che sconvolge l’esistenza della Signora Falk (Leonarda): sua nipote (Aagot) decide di sposare l’uomo (Hagbart) che in passato aveva pubblicamente giudicato la condotta della Signora Falk immorale. Pentitosi di questo suo aspro giudizio dovuto ad un’interpretazione fallace e parziale dei fatti ed ai forti valori religiosi propri della sua educazione, dopo la conoscenza di Aagot e successivamente della zia (Signora Falk), comprende la rigidità del dogma ‒ rigidità personificata nel Vescovo (zio di Hagbart), figura controbilanciata dalla Bisavola (bisnonna di Hagbart) che rappresenta il passato perduto ed è la persona che meglio comprende la scelta del bisnipote.
La Signora Falk è in sé l’elemento romantico dell’opera: sacrifica il proprio amore e rifiuta la felicità per il bene di un’altra donna.
L’opera è intrisa di realismo, di critica verso una società ancorata ad un passato che non le appartiene.
Bjørnson, forte del suo nuovo credo positivista, si scaglia contro la Provvidenza che paralizza la volontà e la mistifica. Il miracolo altro non è che suggestione ovvero un evento particolare che si ritorce contro a chi in esso ripone le proprie speranze; è il positivismo che alla fine prevale sulla fede.
Bjørnson fu uno sperimentatore: nella fede, nella filosofia, nelle correnti letterarie e soprattutto nei generi; scrisse drammi, poesie, romanzi, racconti, articoli, saggi, canzoni.
Suo è anche il testo dell’inno norvegese che scrisse durante l’occupazione straniera, omaggiando la sua terra natale che a sua volta, dopo l’indipendenza, omaggiò Bjørnson e lo consacrò come il più grande degli scrittori Norvegesi.
[1] Contadino.
[2] Bjørnstjerne Bjørnson , Leonarda, dal volume Bjørnstjerne Bjørnson, collana Scrittori del mondo: i Nobel, UTET, Torino 1979, p. 31
[3] Ivi, p. 64