Lo studio di fenomeni quantistici all’interno di esseri viventi è quanto mai difficile da implementare ed è un campo ancora pressoché inesplorato.
La meccanica quantistica è una roba complicata – almeno su questo non temo smentite. Particelle che in realtà sono onde, oggetti che sono in più posti contemporaneamente, particelle che passano attraverso i muri, gatti contemporaneamente vivi e morti, etc. Richard Feynman, un vero genio della fisica del novecento, diceva che nessuno ha realmente capito la meccanica quantistica. E giustamente, di fronte a questa complessità, i fisici cercano di semplificarsi la vita, quando in laboratorio vogliono sperimentare un fenomeno quantistico. Tipicamente ciò implica lavorare a bassissime temperature (anche a -273°, ovvero vicino allo zero assoluto), in modo da prevenire le vibrazioni termiche delle particelle; usando camere a vuoto con pressioni bassissime, così da prevenire qualsiasi inquinamento dovuto all’aria o altre schifezze che possono sporcare l’oggetto di studio; spesso adoperando piattaforme in grado di attutire qualsiasi vibrazione esterna; talvolta utilizzando strumenti centinaia di volte più sottili di un capello umano. Nonostante tutto ciò, siamo in grado di osservare e misurare soltanto fenomeni, per così dire, “semplici”. Intorno a noi (e anche dentro di noi), si verificano continuamente fenomeni mostruosamente più complessi, caotici, disordinati, di quelli tipicamente analizzati in laboratorio. Tanto complessi che non siamo in grado di spiegarli attraverso equazioni elementari, limpide, chiare, tali da essere colte dalla mente umana. La scienza ha da sempre avuto una tradizione riduzionistica, attraverso la quale sistemi complessi vengono spezzettati nelle loro componenti più basilari, fino a renderle comprensibili.
E che cosa si trova all’estremo opposto dell’ambiente freddo, ben controllato, asettico, che i fisici amano riprodurre? La vita. La vita è calda, complicata da spiegare, sporca, bagnata. Parlando dell’origine della vita, Charles Darwin immaginava un «piccolo stagno caldo», di sicuro non una camera depressurizzata ad ultra-alto-vuoto, fredda e incontaminata. Non c’è da stupirsi, allora, se lo studio di fenomeni quantistici all’interno di esseri viventi è quanto mai difficile da implementare ed è un campo ancora pressoché inesplorato.
Ciononostante, un gruppo di scienziati ha deciso di raccogliere la sfida e cercare di porre in uno dei più peculiari stati quantistici un essere vivente. La cavia prescelta è un tardigrado, altrimenti detto ‘orso d’acqua’ – un animaletto minuscolo, ma particolarmente coriaceo. Assomiglia a un ibrido tra un orsetto gommoso e un bruco, ha dimensioni inferiori al millimetro e resiste a tutto: può sopravvivere a temperature sopra i cento gradi, così come inferiori ai meno duecento, resiste a livelli altissimi di radiazione e, nonostante sia acquatico, può passare decenni essiccato. Si trova in tutti i continenti – Antartide compreso –, dalle profondità degli abissi fino ai monti dell’Himalaya. L’Agenzia Spaziale Europea ha persino portato diversi esemplari nello spazio per vedere come se la cavavano là fuori, senza una tuta da astronauta: anche in quel caso hanno dimostrato di avere la pelle dura [1], tanto che c’è chi pensa di utilizzarli per trasportare la vita fuori dalla Terra [2]. Insomma, per questo animaletto, vale la pena di usare la inflazionata espressione “resiliente”.
Tornando all’esperimento, l’idea degli scienziati è di riuscire a porre in uno stato di “entanglement” uno di questi orsi d’acqua. L’entanglement è forse il fenomeno più misterioso della meccanica quantistica, che dà filo da torcere ai fisici da decenni. Noi, in questo articolo, non abbiamo la possibilità di addentrarci in una sua descrizione dettagliata, ma cerchiamo almeno di tracciarne i contorni. Immaginiamo di prendere un sistema quantistico composto da due particelle. Entrambe hanno una freccia disegnata sopra. Le particelle ruotano su se stesse senza pace, puntando continuamente la loro freccia in tutte le direzioni. Appena però fermiamo una particella e osserviamo in che direzione punta la sua freccia, automaticamente l’altra particella si ferma a sua volta, puntando la propria freccia nella direzione opposta alla prima. Questo, grosso modo, è l’entanglement: una connessione tra due oggetti quantistici, tale per cui misurandone uno si modifica istantaneamente anche l’altro, per quanto i due oggetti possano essere ai capi opposti dell’universo. Di solito gli scienziati sono in grado di “entanglementare” (passatemi il termine) fotoni (le particelle che trasportano la luce) o altre particelle come elettroni, etc. La sfida è riuscire a mettere in entanglement oggetti via via più grandi e in condizioni sempre meno controllate (pressione, temperatura, etc.). In questo senso, riuscire a utilizzare come oggetto quantistico un animale vivente sarebbe certamente qualcosa di straordinario.
Che cos’hanno fatto, allora, gli scienziati per entanglementare un orso d’acqua? Hanno preso due circuiti elettrici con due elementi quantistici in grado di connettersi tra loro in uno stato di entanglement. Poi, hanno inserito un orso d’acqua congelato a -273° all’interno di uno dei circuiti di questi elementi quantistici. La presenza dell’orso d’acqua ha alterato lo stato dei due elementi, che sono pur tuttavia rimasti in uno stato di entanglement. Dopodiché, una volta scongelato l’orso d’acqua, esso ha ripreso la sua vita da dove l’aveva lasciata. L’esperimento, tuttavia, ha suscitato anche delle critiche. La domanda fondamentale è: ma l’orso d’acqua ha davvero avuto un ruolo fondamentale nel sistema? Per quanto tutti riconoscano le capacità straordinarie dell’orso d’acqua e la sua capacità a sopravvivere a temperature vicine allo zero assoluto, infatti, alcuni scienziati ritengono che il suo ruolo all’interno del circuito non sia fondamentale da un punto di vista quantistico. In fin dei conti – dicono gli scettici –, lo stesso identico risultato si sarebbe potuto ottenere utilizzando dell’acqua congelata. Insomma, nonostante la sua performance straordinaria, l’orso d’acqua non aggiungerebbe qualcosa di veramente cruciale al sistema.
Lo studio è attualmente pubblicato su arXiv [3], che ospita articoli che non sono ancora stati pubblicati su riviste peer-reviewed (giudicate quindi ufficialmente da un gruppo di esperti del settore), perciò non resta che attendere i futuri sviluppi di questo, quantomeno curioso, esperimento quantistico.