La domanda sorge spontanea: che cosa accadrebbe se infilassimo la testa nella traiettoria di questi fasci di particelle?
Qual è l’oggetto, inventato dall’uomo, più complesso che riusciate a immaginare? Un cellulare? Un’astronave? Se doveste chiederlo a me, risponderei un acceleratore di particelle. Questo incredibile strumento prende diverse forme e dimensioni, ma tipicamente si compone di un anello lungo anche diversi chilometri, posizionato spesso sottoterra, all’interno del quale viene generato il vuoto. Il suo scopo è quello di far circolare al suo interno fasci di particelle cariche (come elettroni, protoni o altre particelle di materia e anti-materia), accelerandoli grazie a dei campi elettrici, e deviando circolarmente la loro traiettoria con dei magneti superconduttori. Tutto ciò allo scopo di far scontrare queste particelle quando abbiano raggiunto una velocità prossima a quella della luce. Il risultato dello scontro è la trasformazione della loro altissima energia, che posseggono per via dell’elevatissima velocità, in materia, permettendo agli scienziati di studiare le particelle generate in questi scontri e di “vedere” le componenti elementari della natura.
Allora a questo punto la domanda sorge spontanea: che cosa accadrebbe se infilassimo la testa nella traiettoria di questi fasci di particelle?
A questa domanda può rispondere Anatoli Petrovich Bugorski, fisico delle particelle, che nel luglio del 1978 mise effettivamente la propria testa nella traiettoria di un fascio di protoni del sincrotrone (un tipo di acceleratore di particelle) dell’istituto per la fisica delle alte energie di Protvino, in Unione Sovietica. Una serie sfortunata di circostanze portarono Bugorski, all’epoca ancora dottorando, a questa esperienza unica nella storia. Quel giorno, infatti, Bugorski si apprestava a riparare un guasto dell’acceleratore con cui era abituato a lavorare. Così comunicò alla sala di controllo di fermare il fascio di protoni, al fine di entrare in sicurezza nel laboratorio in cui il fascio, uscendo dall’acceleratore, andava a impattare un detector. La sala di controllo, però, non eseguì in tempo l’indicazione, lasciando il fascio attivo. Per di più, la porta del laboratorio in cui Bugorski doveva recarsi sarebbe dovuta essere chiusa, qualora il fascio fosse attivo. Ma la porta, quel giorno, era stata lasciata aperta da un collega che aveva disattivato il sistema di sicurezza. Infine, come ultima fatalità avversa, all’interno del laboratorio era appena saltata la lampadina che si illuminava quando il fascio era attivo.
In questo modo Bugorski, pur avvertendo che ci fosse qualcosa di strano, non si rese conto del potenziale pericolo. Avvicinandosi all’apparecchiatura a cui voleva lavorare, pose dunque la testa nel cammino del fascio. Vide un lampo “più luminoso di mille soli” – così descrisse l’accaduto. E tuttavia non provò alcun tipo di dolore. Un fascio di protoni con velocità di centinaia di migliaia di chilometri all’ora, ad una energia di 76 miliardi di elettronvolt, lo aveva colpito sul retro della testa, aveva attraversato l’intero cervello ed gli era uscito all’altezza del naso. La sua reazione? Finì il lavoro che stava svolgendo, compilò il diario di laboratorio annotando i progressi della giornata, infine si recò a casa senza raccontare a nessuno dell’accaduto.
Nelle ore successive, però, Bugorski non poté continuare a fingere che nulla fosse accaduto. La sua faccia cominciò a gonfiarsi preoccupantemente e fu costretto a recarsi dal medico. Nei giorni successivi la pelle iniziò a staccarsi, i capelli a cadere, rivelando con precisione i punti di entrata e di uscita che i protoni avevano intrapreso attraverso la sua testa. Inoltre, al di là dei segni esteriori, il fascio gli aveva bruciato ossa e lo stesso tessuto cerebrale. I medici calcolarono la dose di radiazione a cui Bugorski era stato esposto. Era centinaia di volte superiore alla dose fatale, perciò i medici pensarono che la sua fine fosse segnata.
E tuttavia egli sopravvisse. Anzi, completò pure il suo dottorato di ricerca e continuò a lavorare nello stesso istituto in cui aveva subito quell’incredibile incidente. Riportò alcuni danni permanenti, diventò ad esempio sordo dall’orecchio sinistro e perse la sensibilità a molti nervi facciali che gli causarono una paralisi della parte sinistra del volto, ma ciononostante le sue abilità intellettuali rimasero virtualmente intatte.
Ma com’è possibile che Bugorski sia sopravvissuto ad un incidente di questa portata? Parte della spiegazione è legata alla natura dei protoni. Ogni particella, quando attraversa un materiale (come ad esempio la testa di qualcuno), trasferisce la propria energia a ciò che incontra nel suo passaggio. Se la particella ha un’elevata velocità e quindi un’elevata energia, essa nell’attraversare il materiale ionizzerà atomi, distruggerà molecole, romperà strutture di varia natura. In questo modo, a forza di scontrarsi e cedere energia, la particella rallenta fino a fermarsi. È possibile calcolare quale sia il cammino medio che una particella dotata di una certa energia iniziale debba percorrere all’interno di un materiale prima di arrestarsi. La caratteristica peculiare dei protoni è che essi cedono la maggior parte della propria energia quando ormai sono prossimi all’arrestarsi. Su questo principio si basa la protonterapia, una tecnica medica all’avanguardia in cui, in pratica, si ripete l’incidente di Bugorski ma in modo controllato, al fine di distruggere tumori sviluppatosi in zone difficilmente accessibili alla chirurgia tradizionale, come il cervello. Scegliendo opportunamente la velocità dei protoni, è possibile far arrivare queste particelle esattamente al tumore, facendo sì che cedano la maggior parte dell’energia in esso, finendo col distruggerlo. Nel caso di Bugorski, i protoni coinvolti nell’incidente avevano un’energia talmente elevata che la testa dello scienziato non era sufficientemente spessa da fermarne efficacemente la loro corsa; tant’è che i protoni lo hanno attraversato oltre per oltre, senza liberare la maggior parte dell’energia che possedevano. Ciononostante la dose di radiazione ricevuta era notevole, sufficiente per causarne il decesso. Allora come ha fatto a sopravvivere? Per rispondere bisogna notare che la radiazione assorbita, pur essendo cospicua, era però concentrata in uno spazio molto ristretto. Certamente Bugorski ha subito dei danni notevoli, ma evidentemente su una zona sufficientemente piccola da non provocarne la morte. Per capirci meglio: preferireste che vi cadesse sul torace un’incudine da cento kg, oppure sul mignolo del piede una da cinquemila kg? Pur essendo la seconda molto più pericolosa di per sé, il fatto che cada su una zona minuscola del corpo vi garantirebbe la sopravvivenza. Bugorski è sopravvissuto e ha continuato nella sua carriera da scienziato perché, evidentemente, il fascio di protoni ha disintegrato una parte tutto sommato ridotta del suo corpo.
Per la cronaca, Anatoli Petrovich Bugorski è ancora vivo. Si è ritirato dalla sua carriera di fisico ed oggi è in pensione.