Dell’utile Arte

Marco Montagnin
Letteratura

Non generando soldi, l’arte non può certamente essere utile.

 

El poeta comienza donde termina el hombre. La suerte del hombre es vivir su vida humana, la del poeta para inventar lo que no existe.[1]

 

Durante la preparazione dell’articolo che sarebbe dovuto uscire in questo numero, tra la rilettura d’una poesia e la difficile interpretazione aiutata dal ricco apparato di note, l’occhio mi è caduto sullo schermo del telefono illuminatosi senza apparente motivo. Ho deciso, per abitudine, di controllare le notizie del giorno ed una di esse riguardava proprio la Poesia, così ho aperto l’articolo e quello che ho letto mi ha fatto ricordare alcuni miei ragionamenti.

 

Riporto ora due estratti dell’articolo che sono citazioni d’un discorso più ampio avvenuto durante la presentazione di due opere poetiche:

 

Tagliente Mary B.Tolusso: “La poesia non ha nessuna utilità, né un valore, è sempre stata di nicchia nonostante sia il genere che detta i codici letterari nei secoli”.

[…]

Per Villalta quello della poesia è un “bisogno dell’essere umano, è qualcosa di naturale perché ha a che fare con il nucleo stesso della nostra esistenza, legata alla lingua che parliamo e con la quale ci relazioniamo al mondo e agli altri”. [2]

Due sentenze lapidarie, quasi in contraddizione sebbene entrambe inoppugnabili: non si arrogano il diritto di definire la poesia in termini assoluti, ma cercano invece di dare una visione soggettiva declinando il genere nel quotidiano.

Cercando su Google la definizione di poesia incontriamo quella della Treccani: «L’arte (intesa come abilità e capacità) di produrre composizioni verbali in versi», e l’immancabile Wikipedia: «La poesia è una forma d’arte che crea, con la scelta e l’accostamento di parole secondo particolari leggi metriche, un componimento fatto di frasi dette versi, in cui il significato semantico si lega al suono musicale dei fonemi».

La parola comune di entrambe le definizioni è ‘arte’ ed in entrambi i casi viene sotto inteso che è generata da un artista, nello specifico il poeta.

Vorrei ora introdurvi ad una possibile visione dell’arte e dell’artista.

L’artista è un essere umano. Ne consegue che egli è collocato in precise coordinate del tempo e dello spazio. Se la seconda è una variabile dipendente, modificabile, non assoluta ‒ ovvero l’artista soggetto alla cultura del luogo può accogliere altre culture, farle proprie o ispirarsi a esse ‒ la prima, invece, è una variabile indipendente che è contemporaneamente ‘fissa’ ‒ ossia il periodo di vita dell’artista ‒ e ‘mobile’ ‒ il corso della sua vita, delle sue opere e del suo pensiero.

Essendo l’artista un essere umano è anche soggetto all’errore: suo scopo principale è essere il tramite tra il mondo e l’arte. Egli la genera, ma una volta generata non gli appartiene.

L’arte è il frutto della mediazione tra il mondo e l’artista; essa trascende, una volta composta, il suo compositore, da lui si genera, ne ritrae un suo istante, ma da lui si separa per sempre divenendo contemporaneamente di tutti e di nessuno. Essa vive di natura propria.

Anche l’arte è soggetta alle coordinate dello spazio e del tempo in modo del tutto simile all’artista.

Se dovessimo in un qualche modo schematizzare in forma triadica ciò che esiste sulla Terra, potremmo farlo in questo modo, tralasciando le varie sotto categorie: regno vegetale, regno animale ed arte.

L’arte in divenire interagisce con l’artista come farebbe un parassita, e per questo può essere distinta in due macro categorie. L’arte come simbionte, è quella che prolunga la vita dell’artista, è quella che matura costantemente, nella letteratura la associo a Dante o più modernamente a Mann o Kawabata: ogni parola viene soppesata, è perfetta li dov’è, il risultato è quello dell’artista che migliora fino a raggiungere un livello di perfezione rarissimo. La seconda forma è quella dell’arte che si nutre del corpo generante a discapito di esso: il risultato è l’artista genio che si consuma velocemente ma produce risultati paragonabili al massimo livello raggiunto dalla categoria precedente in meno tempo e con un intensità differente, penso a Keats o Dylan Thomas.

Ora non ci resta che capire l’utilità della poesia e, con una sineddoche, dell’arte.

Provando ad immaginare una conversazione su questo argomento non posso che pensare ad un bar: è sicuramente sera, il tavolino stretto e traballante sorregge il peso di boccali semivuoti, qualcuno decide, insicuro, di iniziare il fatidico discorso, subito interrotto da sentenze lapidarie riguardanti ‘il vil denaro’. A questo punto che tutti convengono che, non generando soldi, l’arte non può certamente essere utile.

Utile deriva dal latino utĭle(m), deriv. di ūti ‘usare’, tra i vari significati troviamo che può essere un vantaggio materiale oppure intellettuale, morale.

Tuttavia, Orazio scrisse, in un epistola chiamata Ars Poetica:

Aut prodesse volunt aut delectare poetae/aut simul et iucunda et idonea dicere vitae.

[…]

Omne tulit punctumqui miscuit utile dulci,/lectorem delectando pariterque monendo;

Così comprendiamo che l’arte e la poesia in realtà possono essere utili: certamente lo sono oggettivamente quando rientrano nel genere didascalico ‒ pensiamo al De rerum natura, genere ormai desueto. Sul piano soggettivo diventa molto più complesso. Distinguiamo il poeta dal lettore: quest’ultimo si appropria indebitamente della poesia interpretandola principalmente secondo le sue conoscenze ed esperienze ed in questo senso possiamo dire che la poesia è utile a livello morale. Vi è poi anche il lettore ‘impegnato’, il quale non interpreta ma studia, comprende, contestualizza, ed ecco allora che s’aggiunge, all’utilità morale, anche quella intellettuale.

Perché l’artista crea? Che utilità ricava dal creare qualcosa che non genera denaro? Ebbene per il poeta l’utilità nella poesia è la vita ed è la morte.

Così la poesia utile viene rilegata negli scaffali, invenduta, meno stampata e, contestualmente, sempre più non comprendiamo come la vita ci passo accanto senza mai riuscire ad afferrarla sensibilmente, men che meno comprenderla nel profondo. Ci ritroviamo, allora, incastrati in noiose conversazioni che paiano riproporsi infinitamente uguali e vuote, e, quando l’ultimo goccio del boccale finisce, un silenzio soffocante cala, lasciandoci soli.

Forse un mattino andando in un’aria di vetro,

arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:

il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro

di me, con un terrore da ubriaco.

 

Poi, come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto

alberi, case, colli per l’inganno consueto.

Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto

tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

[1] Il poeta comincia dove finisce l’uomo. Il destino dell’uomo è di vivere la sua vita umana, quello del poeta d’inventare ciò che non è esistente.

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