Antonietta de Pace

Lu sole, lu mare,
lu ientu di rivolta

Gisella Lombardi
Letteratura

Al momento dell’arresto Antonietta, con estremo sangue freddo, si tolse dal petto due proclami di Mazzini, fortuitamente scritti su carta velina, li appallottolò e sotto al naso degli agenti li ingoiò, sostenendo si trattasse di un medicinale.

Se vi è capitato di lamentarvi dei collegamenti che portano fino in Puglia, pensate quanta fatica costasse rimanere in contatto e organizzare una rivolta nel 1848. Eppure le informazioni arrivavano lo stesso da Londra, dove risiedeva Mazzini, fino a Lecce. Alcuni patrioti erano particolarmente bravi a tessere reti di comunicazione. Tra loro vi era Antonietta de Pace.

Antonietta nasce il 2 febbraio 1818 a Gallipoli. Proveniva da una famiglia con una certa tendenza all’insubordinazione. I suoi zii materni avevano partecipato alla Repubblica napoletana del 1799 e il suo zio paterno era canonico, astronomo e carbonaro. Suo padre, un ricco banchiere, desiderava che lei fosse ben istruita, anzi sperava avrebbe potuto in futuro rilevare l’attività di banchiere e per questo si occupa, assieme al fratello,  dell’educazione di Antonietta prestando particolare attenzione all’economia e al diritto. Una visione molto progressista per l’epoca, soprattutto nel Regno di Napoli, nel quale la Curia napoletana si opponeva attivamente all’istruzione delle fanciulle. Purtroppo quando lei ha otto anni il padre muore in circostanze sospette, probabilmente avvelenato dal suo segretario particolare che ne bramava il patrimonio. Privati della legittima eredità la famiglia si disgrega. La madre viene confinata nella villa di Camerelle e lei e le sue tre sorelle vengono rinchiuse nel monastero delle Clarisse di Gallipoli.

Antonietta uscirà dal monastero solo quando sua sorella Rosa sposerà Epaminonda Valentino e la porterà a vivere con sé. Epaminonda era un patriota napoletano, la cui madre si era distinta durante i moti del 1799, e gestiva le comunicazioni tra Napoli e la Terra d’Otranto. Antonietta ed Epaminonda scoprono di avere gli stessi interessi e sentimenti patriottici, ed essa entra quindi a far parte della Giovine Italia e ad aiutare il cognato. Durante le sue assenze era lei a ricevere i corrieri che arrivavano da Lecce, Brindisi e Taranto. Epaminonda condivideva con lei ogni segreto. Antonietta fu attivamente coinvolta nella preparazione dei moti del ’48 in Terra d’Otranto e in quello stesso anno il quindici maggio combatté sulle barricate di Toledo a Napoli accanto al cognato, travestita da uomo. Poco dopo Epaminonda viene arrestato assieme ad altri patrioti salentini e muore in carcere a soli 38 anni.

Dopo la morte del cognato, Antonietta lascia Lecce e va ad abitare a Napoli insieme a Rosa e i suoi nipoti, ma non abbandona la lotta. Anzi la sua immediata preoccupazione è di riannodare tutte le relazioni di Epaminonda con i patrioti, in libertà, in esilio ed in prigione, ereditandone il compito. Tra i suoi contatti vi era anche il console inglese e l’ambasciata sarda che le inviava i giornali dello Stato Sabaudo. Affinò la sua strategia comunicativa fondando nel 1849 il Circolo femminile, composto da donne nobili e borghesi i cui parenti si trovavano nelle carceri borboniche. Sfruttando i pregiudizi nei confronti del ‘gentil sesso’, facendo leva sulla presunta incapacità politica e vestendo i panni della moglie e della madre addolorata: le donne del Circolo facevano da tramite tra il mondo esterno e i detenuti politici, facendo giungere loro sia beni di prima necessità che lettere e informazioni politiche. Antonietta si recava personalmente nel carcere di Procida, fingendosi parente di un carcerato e promessa sposa di un altro, riusciva ad occuparsi della loro biancheria tramite la quale scambiavano messaggi con l’esterno. Grazie ad un contatto sulle navi che percorrevano la tratta Marsiglia- Genova- Napoli, faceva giungere le informazioni a Genova, da lì proseguivano fino a Lugano per poi arrivare a Londra da Mazzini. Il Circolo femminile fu solo l’inizio, Antonietta fondò e partecipò a molte altre organizzazioni patriottiche e cospirative.

Ma l’aura d’innocenza garantitale dal suo genere non bastò a tutelarla dai pericoli della sua prolifica attività eversiva. Iniziò a cambiare spesso abitazione, sia per non mettere in pericolo Rosa che per evadere la polizia. Per un periodo si ritirò anche in un convento come corista inventandosi, nel 1854 la necessita di “fare dei bagni” che le permettessero di uscire indisturbata dall’edificio religioso per andare a trovare la sorella di Epaminonda, anche lei coinvolta nella cospirazione. Ed è proprio lì che viene arrestata nel 1855 dalla polizia borbonica. A fare il suo e tanti altri nomi fu un infiltrato. Al momento dell’arresto Antonietta, con estremo sangue freddo, si tolse dal petto due proclami di Mazzini, fortuitamente scritti su carta velina, li appallottolò e sotto al naso degli agenti li ingoiò, sostenendo si trattasse di un medicinale. Spese i successivi 15 giorni in una stanzetta talmente angusta da non permetterle di sdraiarsi, venendo spesso interrogata a notte fonda. Le prove contro di lei erano costituite dalle lettere trovate nella sua cella, che sembravano molto lettere in codice, quali erano, ma che la polizia non riusciva a decifrare. Non erano quindi sufficienti. Bisogna estorcerle una confessione. Viene trasferita nel carcere di S. Maria ad Agnone, dove rimase per 18 mesi, senza che nessuno degli interrogatori riuscisse a strapparle qualcosa, né che si creassero delle prove più concrete nei suoi confronti. Infine la giuria si espresse metà a favore della sua colpevolezza e metà contro. Antonietta venne quindi assolta secondo l’uso dell’epoca. Il processo fece molto scalpore per vari motivi: l’imputato era donna, appartenente all’alta borghesia, si chiedeva la pena di morte per motivi politici ed inoltre concentrava l’attenzione degli ambasciatori inglese, francese e sabaudo nonché di una nutrita folla. Una volta scarcerata fu messa sotto tutela di un suo cugino e strettamente sorvegliata dalla polizia. Ma questo non le impedì affatto di riprendere le sue attività di cospiratrice e di fondare il Comitato politico mazziniano, riprendendo i contatti con Genova.

Insolente anche in amore, nel 1858 incontra Beniamino Marciano, un giovane prete liberale. I due si innamorano subito. Beniamino abbandona la toga per dedicarsi all’attività politica accanto ad Antonietta. Insieme si adoperano per sostenere l’impresa dei Mille. Nel 1859 Antonietta stufa di stare a casa del cugino trasloca clandestinamente. Per sfuggire alla polizia sfrutta la doppia entrata delle chiese. Entrando da una parte ed uscendo dall’altra si muoveva attraverso la città. Quando Garibaldi entra in trionfo a Napoli il 6 settembre del 1860 accanto a lui ci sono 28 ufficiali e due donne. Una delle due è Antonietta vestita con i colori della bandiera italiana. Le viene poi affidata la gestione dell’ospedale del Gesù ed una pensione come ringraziamento per le pene subite per la libertà. Ma Antonietta ancora non pensa che sia giunto il momento di riposare: manca Roma. Fonda quindi il Comitato di donne per Roma capitale. Ancora una volta viene arrestata, questa volta dalla polizia pontificia, e si salva per le rimostranze del governo sabaudo e la sua abilità a distruggere le carte compromettenti che portava con sé. Quando Roma viene finalmente conquistata nel 1870 Antonietta e Beniamino volgono le loro attenzioni all’istruzione. Era sempre stata sensibile alla miseria altrui, soprattutto era preoccupata dalla condizione dei contadini delle sue terre natie. Vedeva nel Risorgimento non solo un movimento per l’Unificazione ma un momento di cambiamento verso un mondo migliore. L’istruzione doveva giocare un ruolo fondamentale per il riscatto dell’individuo e per la costruzione del paese.

È con dolcezza che finisce la sua storia: il 3 aprile del 1893 si trova a letto per una bronchite quando le viene voglia di champagne. Ne beve con gusto due bicchieri. Le sue ultime parole sono in risposta ad una domanda di Beniamino; lui: “Mi ami?”, lei: “E me lo chiedi?”. Muore il mattino seguente, a 76 anni.

 

[1] L. Guidi, A. Russo, M. Varriale, “Il Risorgimento invisibile. Patriote del Mezzogiorno d’Italia”, Comune di Napoli Edizioni (2011)

[2]  SLo Giudice Sergi, Lina, “Donne d’italia tra risorgimento e resistenza : dizionario, salotti e rivoluzione”, Lepisma (2012)

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