Torna, quindi, a dedicarsi a tempo pieno alla politica.Nel 1892 nasce il partito socialista, di cui lei è, assieme a Turati, una delle fondatrici e delle leader, per quanto lo faccia a modo suo, pubblicamente dalle retrovie.
«Purtroppo il regime continua e si consolida, e finché si vive, certo non si deporranno le armi. [Ma] comunque andassero le cose, sta’ di buon animo perché hai la coscienza tranquilla, di aver fatto tutto il possibile per attuare un piano che ti pareva necessario ed utile».
Così scrive Anna Kuliscioff al compagno Filippo Turati nel 1925. Mentre il regime fascista si afferma sempre più, il suo partito, il Psi, non riesce ad arginarlo o a proporre una solida alternativa, e lei vede svanire in pochi anni il lavoro politico di una vita. Muore sei mesi dopo. Sicuramente dopo aver fatto tutto il possibile.
La data precisa e il luogo di nascita, financo il nome completo di Anna sono incerti per due principali motivi: la quantità di volte in cui ha falsificato i propri documenti per far perdere le proprie tracce, e l’alone di mistero costruito attorno alla propria infanzia, posa tipica della giovane intellighenzia russa di quel periodo.Da queste poche righe già emerge la sua natura di rivoluzionaria aristocratica, antitetica eppure completamente coerente; non è difficile immaginarsela mentre sorride beffarda di fronte alla difficoltà degli storici di ricostruire la sua vita, perché se facciamo fatica noi, chissà quanta ne facevano i poliziotti all’epoca.
Ciò che sappiamo è che era figlia di una famiglia ricchissima di origine ebraica, tanto da permetterle non solo di studiare all’estero ma anche di ricevere un supporto economico praticamente per tutta la vita. Fin da giovanissima si interessa di politica e filosofia, aderendo alla corrente del nichilismo e appassionandosi agli scritti di Lavrov, Bakunin e Marx. Non potendo studiare in Russia, si trasferisce a Zurigo, dove si iscrive all’università, che trascura per dedicarsi ad una pletora di attività politiche. Lo Zar Alessandro II scioglie la comunità di studenti, costringendo Anna a tornare in patria, dove riesce a evitare l’arresto e a continuare la sua attività sovversiva, mantenendosi facendo lavori di fortuna: cantando per strada o impartendo lezioni private.Dopo aver scampato il carcere più volte, nel 1877 varca la frontiera per l’ultima volta.
Si rifugia nuovamente in Svizzera, dove trovavano riparo dalle legislazioni dei rispettivi Paesi anche i membri più rappresentativi del socialismo internazionale.Lì, Anna stabilisce una fitta rete di rapporti con la leadership rivoluzionaria, anarchica e socialista dell’Europa del tempo. Cifra del suo pensiero politico sarà sempre una visione internazionale e una particolare attenzione per la divulgazione dei testi e dell’istruzione politica delle masse. In questo periodo incontra anche Andrea Costa, anarchico e futuro primo deputato socialista del Parlamento italiano. Tra i due l’intesa è immediata. Sono compagni nella vita e nella lotta, viaggiano insieme, vengono arrestati insieme. I ripetuti soggiorni in carcere minano fortemente la salute di Anna: dallo scorbuto alla tubercolosi e non si riprenderà mai veramente. Al contempo, i processi cementano la sua fama. La coppia riesce a convivere per un anno a Imola, e Anna dà alla luce una bambina, Andreina. Ma la vita di provincia le sta stretta, come stretto le sta il comportamento del compagno, che si dimostra un po’ troppo tradizionale per i suoi gusti. Quindi, nonostante fosse malata e senza soldi, prende la bambina di appena un mese e va in Svizzera per riprendere gli studi universitari. Si sposta poi a Napoli sperando che il clima più mite la aiuti a tenere a bada la malattia polmonare. Il percorso universitario risulta essere un calvario: viene ostacolata in ogni modo dalle università in quanto donna e straniera. Riesce, però, a laurearsi in medicina, specializzandosi in ginecologia con una tesi sulla febbre puerperale. Questi sono anche gli anni in cui dall’anarchismo passa al socialismo; inoltre, il suo rapporto sentimentale con Costa finisce ed incontra Filippo Turati che sarà il suo compagno per il resto della vita. Si trasferiscono a Milano, dove Anna vorrebbe esercitare la professione, venendo continuamente respinta dagli ospedali perché donna. Diventa, quindi, la “duttura dei poveri” occupandosi degli ultimi, andando di casa in casa. Purtroppo la tisi si tramuta in tubercolosi ossea, rendendole sempre più difficile la deambulazione e costringendola a una sempre più frequente reclusione in casa.
Torna, quindi, a dedicarsi a tempo pieno alla politica.Nel 1892 nasce il partito socialista, di cui lei è, assieme a Turati, una delle fondatrici e delle leader, per quanto lo faccia a modo suo, pubblicamente dalle retrovie. Sempre autonoma nel suo pensiero politico, scriveva ai suoi compagni, consigliando, rimproverando e a volte ordinando. Anna si occupa anche della rivista Critica sociale fondata col compagno. Ne è editrice, traduttrice e scrittrice, facendo convergere nei suoi articoli l’ampia visione che leggere in cinque lingue diverse le permette di avere e dando al socialismo italiano un respiro più internazionale. Seppur firmi principalmente articoli sulla situazione russa e sulla questione femminile, la sua influenza si sente in tutta la rivista ed anche negli scritti di Turati. Costretta in casa ma in contatto con tutti i principali esponenti della socialdemocrazia europea, il suo salotto diventa un punto di incontro assai trafficato: chiunque passi da Milano la va a trovare.
Nelle sue lotte politiche, spicca, ovviamente, l’impegno a favore della questione femminile, che la pone in una posizione particolare rispetto alle femministe borghesi dell’epoca e in totale contrasto con il proprio partito, profondamente misogino. Si rifiuta di concepire la lotta femminile avulsa dalla lotta di classe ed anzi, vede nell’emancipazione del proletariato l’unica via.[1] Si batte molto per il diritto di voto, in aperta polemica con Turati, per leggi a tutela delle lavoratrici e dei fanciulli e anche per la cassa di maternità.Spesso è costretta a scendere a compromessi con il partito, che non solo non aveva minimamente intenzione di includere le donne, ma anzi, le avrebbe rivolute al focolare domestico, fuori dalle fabbriche, perché vedeva in loro una concorrenza sleale. Una sua grande vittoria politica è l’inserimento del voto alle donne nel Programma del Partito nel 1911.
Nel 1904 la figlia le annuncia di volersi sposare con il rampollo di una famosa e cattolicissima famiglia di industriali.Anna non ci dorme per un mese. A perseguitarla erano i sensi di colpa nei confronti della figlia a cui non aveva mai dato una vita e una famiglia stabili e il suo sdegno per l’istituzione del matrimonio. Ma non le espresse mai la sua contrarietà. Esemplari le parole scritte a Costa, il quale aveva assai più difficoltà ad accettare la situazione.
«D’altronde come buoni e convinti socialisti, dobbiamo rispettare anche la volontà e l’individualità dei nostri figli[…] è stato un fallimento come dici tu, ma un fallimento non doloroso; poiché se la Ninetta non è l’immagine nostra, è pur una brava e buona ragazza.[…] Se va incontro alla sua felicità sia pur benedetta anche dal prete, ne sono contenta ugualmente».
Negli ultimi anni, si ritrova in disaccordo con la linea non interventista del partito, ed in parte sottovaluta il nascente fenomeno del fascismo. Si nota la difficoltà sempre maggiore a mantenere il contatto col mondo da quell’appartamento in cui da ormai troppo tempo è rinchiusa. La donna che per la sua influenza fu chiamata “l’unico uomo del partito socialista” muore il 29 dicembre del 1925, i suoi funerali sono una delle ultime manifestazioni socialiste pubbliche.
[1] In aperto contrasto con Anna Maria Mozzoni precedentemente trattata su queste pagine https://lalivellamagazine.com/non-otterremo-oggi-e-noi-ci-ripresenteremo-domani/
[1] Casalini, Maria “Anna Kuliscioff la signora del socialismo italiano” Editori Riuniti univ. Press (2013)