Andrei Sakharov,
dalla bomba H al
Nobel per la pace

Michele Diego
Scienza

Ci sono dunque due Sakharov: l’eroe e il dissidente, il padre della bomba all’idrogeno sovietica e il pacifista premio Nobel.

«Pace, progresso, diritti umani – questi tre obiettivi sono indissolubilmente legati l’uno all’altro: è impossibile raggiungere uno di questi obiettivi se gli altri due vengono ignorati».
Inizia così la conferenza del premio Nobel per la pace del 1975, vinto da Andrei Sakharov. Il discorso però viene pronunciato dalla moglie in quanto «a causa di certe strane caratteristiche del paese di cui io e mio marito siamo cittadini, la presenza di mio marito alla cerimonia del premio Nobel per la pace si è rivelata impossibile».
Ma chi è Andrei Sakharov? Dissidente nell’Unione Sovietica, collaboratore del primo periodico del dissenso Cronaca degli eventi correnti, autore di appelli e petizioni contro i processi ai grandi avversari interni al paese, pubblicò in occidente il suo manifesto visionario Progresso, coesistenza e libertà intellettuale. Nel 1980 fu esiliato a Gorky, per la sua denuncia contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan. Restò in esilio per sette anni, fino a quando Gorbachev salì al potere e lo chiamò personalmente per riabilitarlo a Mosca.
Eppure Andrei Sakharov, prima di tutto questo, era stato considerato un grande eroe sovietico, vincitore del premio Lenin, del premio Stalin, membro dell’ordine di Lenin – la più alta onorificenza dell’Unione Sovietica. Sakharov era un fisico nucleare, e i servizi resi al suo paese che lo avevano reso così celebre erano legati all’armamento nucleare. Ci sono dunque due Sakharov: l’eroe e il dissidente, il padre della bomba all’idrogeno sovietica e il pacifista premio Nobel.

Nell’ultimo numero de LaLivella, abbiamo parlato del ruolo di Enrico Fermi nel guidare il mondo verso l’era atomica [1]. Si è visto come, partendo da atomi molto pesanti come quelli dell’uranio e bombardandoli con neutroni, sia possibile spezzare il loro nucleo, dando vita così a due nuclei più leggeri e liberando un’enorme quantità di energia. Su questo principio si basano sia le centrali nucleari che le bombe atomiche. Tale fenomeno di frattura di nuclei atomici è chiamato ‘fissione nucleare’.
Esiste però un altro processo nucleare, potremmo dire speculare a quello della fissione, chiamato ‘fusione nucleare’. Esso si basa sull’unione di due o più nuclei atomici, ottenendo come risultato un nucleo più pesante e, anche in questo caso, liberando una grande quantità di energia. Se per la fissione si sfruttano atomi molto pesanti e instabili, come l’uranio o il plutonio, per la fusione vengono adoperati atomi estremamente leggeri, come l’idrogeno. In natura il processo di fissione è abbastanza comune, è sufficiente che un atomo sia radioattivo perché decada naturalmente attraverso la fissione nucleare. La fusione, invece, è estremamente più rara, almeno per noi abitanti del pianeta Terra. Per realizzarla, infatti, occorrono temperature estremamente alte, dell’ordine delle decine di milioni di gradi. Per questa ragione essa avviene unicamente nel nucleo delle stelle e in altri luoghi siderali particolarmente violenti. È grazie alla fusione che gli elementi leggeri presenti nell’universo primordiale si sono uniti a formare gli elementi più pesanti che compongono noi e buona parte di ciò che ci circonda. Sulla Terra la fusione avviene unicamente in modo artificiale. Essa potrebbe rappresentare il futuro di centrali nucleari di nuova concezione nei prossimi decenni.
Anche nel frangente delle applicazioni terrestri, quindi, la fusione ha seguito il percorso contrario alla fissione. Abbiamo visto che la fissione, grazie a Fermi, è stata adoperata prima nelle centrali per la produzione di energia e poi come bomba atomica. La fusione, invece, vede il suo primo utilizzo applicativo nella bomba all’idrogeno o bomba H, il cui padre in Unione Sovietica fu il nostro Andrei Sakharov.

Al termine del suo dottorato Sakharov viene introdotto in un gruppo di ricerca guidato dal suo professore, Igor Tamm, fisico di alto rango, premio Nobel per la fisica nel 1958. L’obiettivo della squadra è semplice: armare nuclearmente l’Unione Sovietica recuperando il terreno perduto nei confronti degli Stati Uniti. Sakharov vivrà e lavorerà in un sito militare segreto, controllato dai servizi segreti, per una ventina d’anni.
All’inizio della sua carriera da giovane scienziato, Sakharov crede fermamente nell’importanza della deterrenza nucleare e alla necessità vitale di armare il suo paese per equilibrare il potenziale militare nel mondo. Così, già un anno dopo il suo arrivo viene testata con successo la prima bomba nucleare sovietica. Sakharov scriverà poi nelle sue memorie che ci riuscirono con mezzi quasi di fortuna, a causa dello stato industriale dell’Unione Sovietica post-bellico. Nulla a che vedere con i mezzi che gli Stati Uniti avevano fornito ai loro scienziati del progetto Manhattan. Ciononostante, per i dieci anni consecutivi, il suo lavoro si concentrerà sulla creazione e la messa a punto della ancora più sofisticata bomba H.
Per attivare la fusione nucleare – e quindi la bomba H – abbiamo detto essere necessarie temperature impressionanti. Per questa ragione le bombe nucleari a fusione sono dette anche “termonucleari”. Com’è possibile, dunque, raggiungere temperature del genere sulla Terra, con i mezzi dell’Unione Sovietica ancora debilitata dalla guerra contro i nazisti? Facendo esplodere una bomba nucleare a fissione. La bomba H, in pratica, è in realtà una doppia bomba, con due scompartimenti: il primo è una bomba nucleare a fissione che, esplodendo, fa aumentare la temperatura a livelli tali da far scattare la fusione all’interno del secondo scompartimento, creando così una potenza ancora più micidiale.
Il lavoro di Sakharov e del suo team arrivò al suo punto più alto all’inizio degli anni sessanta. Il 30 ottobre 1961 alle ore 11:32 venne lanciata sull’isola di Novaja Zemlja, a nord del circolo polare artico, la ‘bomba zar’, la bomba più potente mai sperimentata nella storia. Con un’energia tremila volte superiore alla bomba lanciata dagli americani su Hiroshima, l’esplosione della bomba zar produsse un ‘fungo’ che raggiunse un’altezza di 64 chilometri e produsse un lampo visibile da 1000 chilometri di distanza.
L’anno successivo per Sakharov inizia una nuova fase della vita. Si insinua in lui la consapevolezza che il potere militare sovietico si è staccato dal resto dell’apparato statale. È diventato un potere autonomo, che risponde a logiche sconnesse sia dalla scienza che dal bene del paese. Nel settembre di quell’anno sono previsti due nuovi test nucleari. Sakharov ritiene che le radiazioni possano compromettere seriamente la vita di migliaia di civili senza che vi siano delle reali necessità scientifiche. Tenta di persuadere il primo ministro sovietico a rinunciare al progetto, ma il suo parere viene ignorato. Il test procede secondo i piani. Le due bombe vengono lanciate.
Qualcosa allora in lui cambia profondamente: «Era stato commesso un crimine terribile e io non avevo potuto impedirlo. Fui sommerso da un senso d’impotenza, di amarezza insopportabile, di vergogna e di umiliazione. Ho lasciato cadere la faccia sul tavolo e ho pianto. Questa fu probabilmente la lezione più terribile della mia vita: non si può stare seduti su due sedie».

Così inizia la conversione dell’inventore della bomba H nel più famoso dissidente dell’Unione Sovietica. La sua fu una lotta coraggiosa, sofferta e che gli costò sette anni di esilio. Anche una volta riabilitato, proseguì fino alla sua morte nell’attivismo politico volto al pacifismo e alla cooperazione mondiale. Oggi, oltre al suo esempio e ai suoi scritti, in Occidente il suo nome è legato al premio che l’Unione Europea conferisce a chi si è distinto nella lotta a favore dei diritti dell’uomo. Mentre in Russia, ‘Memorial’, l’associazione per i diritti umani da lui fondata – la più antica in Russia, è stata chiusa qualche mese fa dalla corte suprema.

Il suo manifesto, la cui pubblicazione sul New York Times gli valse l’espulsione dall’intellighenzia sovietica, inizia con questo monito quanto mai attuale: «La divisione dell’umanità ne minaccia la distruzione. La civiltà è in pericolo a causa di: una guerra termonucleare universale, la fame catastrofica per la maggior parte dell’umanità, la stupefazione per il narcotico della “cultura di massa” e il dogmatismo burocratizzato, la diffusione di miti di massa che mettono interi popoli e continenti sotto il potere di demagoghi crudeli e infidi, la distruzione o degenerazione per le conseguenze imprevedibili dei rapidi cambiamenti delle condizioni di vita sul nostro pianeta.
Di fronte a questi pericoli, ogni azione che aumenta la divisione del genere umano, ogni predicazione dell’incompatibilità delle ideologie mondiali e delle nazioni è una follia e un crimine».

[1] Enrico Fermi e l’era atomica (link)

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