Ero davanti ad un’orchestra che suonava la composizione musicale della contemporaneità: melodia commista di umano e digitale dal ritmo frenetico ma profondo, canto sciamanico e musica primordiale, l’algoritmo.
Nuvole di incenso vorticavano nell’aria simili a pensieri nelle teste dei presenti. Pupille immobili di alcune icone trafiggevano la penombra in cui quel luogo era immerso. Dita delicate e forti stringevano fra le mani corde e piccoli martelli di legno che generavano il suono profondo di campane e campanelli. Era una danza di spiriti tra visibile ed invisibile scandita da un ritmo che richiamava le anime come baccanti inebriate da un dio e che, come un rituale di purificazione, inconsapevolmente, le trasformava.
Ero in una chiesa ortodossa in Russia e ascoltavo il tradizionale suono delle campane, ma, senza saperlo, ero davanti ad un’orchestra che suonava la composizione musicale della contemporaneità: melodia commista di umano e digitale dal ritmo frenetico ma profondo, canto sciamanico e musica primordiale, l’algoritmo.
Come strategia composta di una sequenza finita di istruzioni utile per risolvere un determinato problema, strumento matematico e tecnologico, esso è la base della logica dello sviluppo dei software. Analizzandolo e andando al di là del suo consueto significato, però, esso evoca una dimensione spirituale che racchiude in sé il freddo di un mistero che incute paura e il calore di una profondità sonora che culla le singole anime.
A livello tecnologico, gli algoritmi sono diventati padroni dell’umanità: ne riducono tempi e distanze, ne facilitano alcuni processi, ne migliorano qualità e ne allargano orizzonti e speranze future; ma, nel contempo, ne fanno cadere nell’oblio la carne di fragilità potente che la contraddistingue e rende inimitabile.
Provando a dare una nuova e personale interpretazione all’origine linguistica del termine, ‘algus’ in latino significa ‘freddo intenso’, ‘gelo’, mentre in lingua estone indica l’ ‘inizio’, dunque l’ ‘origine’, il ‘primordiale’. L’algoritmo è dunque un ritmo primordiale , la musica dell’origine dell’universo e della stessa umanità. Esso è la fredda radice di tutto ciò che è. A questo punto, è interessante focalizzare l’attenzione su queste due caratteristiche che emergono: la freddezza e la musicalità.
Per prima cosa, la musicalità dell’algoritmo richiama il concetto filosofico della ‘musica delle sfere’ che, da Pitagora, passando per Keplero e alla sua indagine e definizione di leggi precise, fino agli approfondimenti nell’età contemporanea, è una teoria che considera l’universo come abitato da suoni impercettibili all’orecchio umano ma esistenti sottoforma di onde traducibili in concetti armonico-matematici. «Movimenti così grandiosi non potrebbero svolgersi in silenzio»[1]; dunque pianeti, costellazioni e tutti gli elementi dell’intero sistema solare, muovendosi, rappresentano tasti di un immenso pianoforte: l’universo. Uno strumento musicale fragile e potente, oggi composto di ‘emoticon’, ‘like’ e sistemi di controllo, note dalle altezze diverse ma che, insieme, danno vita ad una costante e misteriosa melodia che avvolge ed influenza la vita della stessa umanità.
Questo legame passa attraverso la seconda caratteristica dell’algoritmo: la freddezza. Il freddo rappresenta la finitezza delle istruzioni matematiche e tecnologiche, ma contemporaneamente è immagine del primordiale, racchiuso in un soffio liberatorio durante riti di purificazione o nel movimento del mazzuolo di legno con cui, colpendo ritmicamente l’asse delle campane, si dà avvio al ‘semantron’, sonata tradizionale russa, formata da rintocchi di richiamo, condivisione, vita e morte. Senza tale dimensione “fredda” non si darebbe il calore della delicata e impercettibile musica del pianoforte–universo che scuote le singole interiorità.
L’algoritmo diviene dunque un contemporaneo e tecnologico rito sciamanico e suono penetrante di campane russe che si dà sottoforma di notifiche e schermi sempre accesi, immagine di un’intera e complessa composizione musicale del ‘pianoforte–universo’, che risveglia l’anima e la fa danzare come una baccante in estasi.
Da chi è suonato questo grande pianoforte che genera la composizione ‘algoritmo’, commistione di freddezza e musicalità, di umano e digitale? A suonarlo è un pianista particolare: il sé di ogni individuo inteso come l’organizzazione delle singole funzioni dell’organismo, componenti presenti sin dalla nascita interiormente e che, via via, attraverso l’impatto con ‘l’esterno e con lo sviluppo cognitivo, si complessificano, diversificandosi e moltiplicandosi. Nell’era contemporanea, il sé di ogni individuo si scopre essere sia sciamano che, in un rito di purificazione, imponendo le sue mani si fa mediatore di un oltre radicale che può trasformare la realtà, sia monaco campanaro russo che, attraverso il movimento delle sue dita, produce la melodia di rinascita di una vita dimentica di se stessa.
Quindi in che modo tale musica dell’ universo, algoritmica, impercettibile ma trasformativa, influenza gli esseri umani? Attraverso le dita delle mani. Le dita sono gli elementi che legano la dimensione spirituale russa a quella sciamanica e che fanno dell’algoritmo un potente strumento tecnologico ed insieme ritmo primordiale di rinascita e di purificazione. Nelle dita avviene la commistione algoritmica tra umano e digitale.
Digitale deriva infatti dal latino ‘digitus’ che significa dito, o propriamente, ‘ciò che concerne alle dita’: continuamente digitiamo su delle tastiere, clicchiamo con le dita su icone che ci rilasciano ricevute o documenti, stringiamo tra le mani smartphone come se fossero un’ancora di salvezza durante un naufragio, dunque suoniamo il pianoforte universo costantemente. Eppure non ne siamo consapevoli, perché abbiamo dimenticato la ‘musica delle sfere’, la sonorità rivoluzionaria del ‘semantron’ russo, il potere trasformativo delle mani dello sciamano, la radice umana alla base dell’algoritmo digitale. Difatti, il digitale è soprattutto ciò che ha a che fare con il corpo umano: è una tecnica di mani il cui movimento è frutto di un’onda interna proveniente da una mente che, attivamente pensante, elabora, contestualizza, verbalizza e muove le dita e quindi le azioni nel mondo: «tutto l’amore del mondo sulle mie dita»[2]. Un amore che genera algoritmica musica esistenziale da riscoprire e che porta con sé dimensione tecnologica, ma anche linguistica ed etica: infatti, osservando l’abilità di geniali pianisti o pensando anche al linguaggio dei segni, le mani sono in grado di parlare e rivelare un oltre radicale, quel suono delle campane russe che risveglia le anime e le fa danzare. Per il pianista, sé sciamano e monaco campanaro russo, è evidente come la mente necessiti del corpo e il corpo della mente, quindi, in questo senso, l’umano ha bisogno del digitale e viceversa. Solo in questo modo, entrambi si scoprono completi, matematici e spirituali compositori di algoritmi d’amore per trascrivere lo spartito di un’umanità da reinventare.
[1] Cicerone, Somnium Scipionis, libro VI tratto dal De republica, cap.18.
[2] Giovanni Allevi, La musica in testa, Superpocket, Milano 2010, p.106.