Beren e
Lúthien

Marco Montagnin
Letteratura

     In ogni cultura è presente un mito sull’amore; attualmente è la storia di Romeo e Giulietta che rappresenta l’ideale romantico nella maggior parte dei popoli, riuscendo a trascendere le differenze di pensiero e diventando un simbolo universale.

I racconti sono molteplici e molteplici sono le differenti sfumature culturali che si riscontrano in essi: è impossibile paragonare l’amore del Genji Monogatari con quello dei trovatori cortesi.

In molti si sono chiesti che cosa realmente sia l’amore e tra il XX secolo e l’inizio del XXI si susseguirono una serie di esperimenti psicologici e medici volti a comprenderlo.

     Nella letteratura è Wystan Hugh Auden che compone il verso: “O tell me the truth about love”, e la risposta più universale giunge cronologicamente da Dante Alighieri:

Amore, veramente pigliando e sottilmente considerando, non è altro che unimento spirituale dell’anima e della cosa amata: nel quale unimento di propia sua natura l’anima corre tosto e tardi secondo che è libera o impedita. [1]

     Anche in Arda v’è una storia d’amore che viene tramandata, era dopo era, sino a giungere alle orecchie di quattro hobbit per voce di un ramingo del nord, e sino a noi attraverso la penna di John Ronald Reuel Tolkien: l’amore tra Beren e Lúthien.

Ma la storia si è deviata, io sono abbandonato, e non posso supplicare davanti all’inesorabile Mandos.

     Tolkien aveva sedici anni, Edith Mary Bratt ne aveva diciannove, lui era cattolico, lei protestante. Nel 1908 vivevano nella stessa pensione, si innamorarono ma il tutore di Tolkien proibì a quest’ultimo di vederla e di scriverle ma non poté impedirgli di pensarla, sempre. Non la vide, non la vide mai rispettando il volere di altri, per la felicità di altri che pensavano e credevano di fare la sua. La sera del suo ventunesimo compleanno – al compimento della sua maggiore età ‒ le scrisse e le chiese di sposarlo. Edith gli rispose che era già fidanzata, pensava che Tolkien l’avesse dimenticata, si sarebbe sposata ma non con lui. La raggiunse, l’amò e fu amato, lei restituì l’anello allo sfortunato fidanzato e si promise a Tolkien, si convertì, si sposarono.

     Il mito di Beren e Lúthien, come tutti i miti, proviene da differenti fonti, con nomi diversi, con finali differenti ‒ alcuni mutili ‒ ma tutti hanno in comune l’amore imperituro, l’incontro – corona dell’attesa ‒ e la morte di Beren. È Aragorn figlio di Arathorn, signore dei Raminghi, che in The Lord of the Rings racconta, agli hobbit, l’incontro tra Beren e Lùthien; può narrarne solo una parte perché il resto è andato perduto.

“Vi racconterò la storia di Tinúviel”, disse Grampasso, “in breve, perché è molto lunga e non se ne conosce la fine. Nessuno, al giorno d’oggi, la ricorda tale quale veniva narrata anticamente. È una bella storia, benché triste, come tutte le storie della Terra di Mezzo; eppure potrebbe rincorarvi e infondere coraggio nel vostro animo”. [2]

     Dopo la morte dello scrittore il figlio, Christopher John Reuel Tolkien, curò le edizioni delle opere del padre e, rimettendo mano agli appunti paterni, pubblicò The Silmarillion e The History of Middle-earth. Christopher fece quello che un filologo non fa e non dovrebbe mai fare: riscrisse la storia basandosi su fonti diverse.

 La prima stesura a noi giunta si intitola The Tale of Tinúviel e si trova in The Book of Lost Tales. Lúthien è chiamata Tinúviel (usignolo), nome che le sarà dato, nelle versioni successive, da Beren. “Tinùviel, Tinùviel!” – così andava, disperato, chiamandola tra gli alberi, quando la luna sorgeva, sperando di potere anche solo ammirarla. Con le stesse parole Aragorn si rivolse ad Arwen la prima volta che la vide. Altri personaggi cambieranno nomi in stesure diverse tranne Beren e Han. Morgoth viene ancora chiamato Melko (dizione antica di Melkor) e il suo braccio destro è Tevildo, principe dei gatti.

Beren è uno gnomo[3], è un Noldor (“coloro che sanno”) che vagabondando vede Tinúviel danzare. La visione di Lúthien che danza nei boschi e nei prati ricorre in ogni versione del mito, perché Tolkien si ispirò alla sua storia d’amore: Edith ballava e cantava per lui nei prati fioriti durante i loro primi incontri. Il finale si apre a diverse ipotesi. La narratrice, come Aragorn, non conosce l’epilogo ma altri due personaggi raccontano due finali differenti di cui uno verrà ripreso in altre versioni dall’autore stesso.

Mentre parlava, però, le ombre di Mandos discesero sul suo volto e il suo spirito, in quell’istante, volò verso i confini del mondo e i dolci baci di Tinúviel non lo richiamarono indietro. Qui, Vëannë smise improvvisamente di parlare, ed Eriol disse tristemente: “Una storia spietata da raccontare per una così dolce fanciulla “; ma ecco, Vëannë pianse, e dopo un po’, disse: ”No, questo non è il racconto intero; ma qui finisce quello che posso dire di sapere”. [4]

     Tolkien nel 1925 iniziò a lavorare ad un poema: The Lai of Leithian (rilascio, liberazione dall’elfico leithia) tradotto dall’autore stesso in Release from bondage; curiosa la somiglianza con la parola Leithien, nome elfico dell’Inghilterra. Il poema, composto da circa 4200 versi in pentametri giambici e scritto in distici, è incompiuto.

Beren non è più un elfo ma un essere umano, figlio di Barahir; Melkor viene chiamato con il suo epiteto Morgoth (“nero nemico del mondo”), il suo braccio destro è Thû, un oscuro stregone (in una revisione successiva alla stesura di The Lord of the Rings, Thû verrà sostituito con Sauron). Beren, scappò dalla stretta del nemico, raggiunse i boschi del Neldoreth dove vide Lúthien danzare.

Forse fu perché era la più bella tra tutti i figli di Ilúvatar, forse fu perché era destino: bastò uno sguardo e lui se ne innamorò, bastò che lei vedesse gli occhi di lui, cosi pieni d’amore, per non poterli mai più dimenticare, per non volerli mai vedere, prima dei sui, vacui. Come nella versione precedente Thingol (padre di Lúthien) disprezzò e derise l’uomo, gli promise la figlia in cambio di una missione impossibile: recuperare un silmaril dalla corona di Morgoth.

“Per poco prezzo son vendute dai re / degli elfi le loro figlie – per anelli, gemme”/ “e oggetti d’oro! Se questo è il desiderio, / la vostra offerta sarà accettata. / Su Beren figlio di Barahir / Non avete posato l’ultimo sguardo. /Addio, Tinúviel, fanciulla-stella! / Prima che inverno imbianchi il passo, / Tornerò, non per comprarvi / con qualche elfico gioiello, / ma per trovare il mio splendido amore, / un fiore che cresce sotto il cielo.” [5]

Beren, a differenza del precedente racconto, non era solo, ma poteva contare sull’alleanza di Felagund, re dei Noldor. Il re, ascoltate le parole di Beren, decise di mantenere fede al giuramento da lui fatto anni prima a Barahir ma il suo popolo gli volse le spalle: gli elfi decisero di ascoltare i figli di Fëanor (creatore dei Silmarilli): Curufin e Celegorm (padrone di Han). In dieci seguirono il loro re, lo seguirono attraverso il fuoco e l’ombra, sino alla fine, sino a Valinor.

Poi una voce udì. “Addio!/Non debbo più dimorare qui sulla terra,/amico mio e mio compagno, audace Beren./Mi è scoppiato il cuore, fredde ho le membra./Ho consumato qui ogni mia forza/per spezzare i miei ceppi e ho sul petto/uno squarcio terribile, fatto da denti avvelenati./Ora debbo avviarmi al mio lungo riposo/sotto Timbrenting, nelle sale senza temo/dove bevono gli Dèi, dove la luce cade/sul mare che riluce.” Così il re morì,/come ancora cantano gli arpisti degli Elfi. [6]

Lúthien, dopo la fuga dal padre, venne catturata da Han e consegnata a Celegorm che, invaghitosi di lei, le promise aiuto imprigionandola poi a Nargothrond (capitale dei Noldor). Lúthien era distrutta: per amore aveva abbandonato le terre sicure, dopo avere scoperto che Beren era imprigionato e prossimo alla morte. Han ebbe pietà di lei e la liberò, accompagnò Lúthien da Beren e diede loro consigli su come adempiere alla missione. Il poema si interrompe: Carcharoth inghiottì la mano con cui Beren teneva il Silmaril, Beren divenne monco per salvare la sua Tinúviel.

“Troppo veloce e inaspettato giunse quell’assalto, / troppo veloce perché un incanto lo fermasse; / allora, disperato, Beren gettò di lato / Lúthien e avanzò deciso / ma disarmato, senza difese per difendere / Tinùviel fino alla fine!” [7]

Il finale ‒ presente solo nel The Silmarillion e al quale viene dedicato un intero capitolo alla storia ‒ ricalca con qualche modifica The Tale of Tinúviel e viene completato secondo le parole di uno dei personaggi del racconto.

Tolkien costruì il suo universo, i suoi personaggi, attorno alla storia di Beren e Lúthien, attorno alla sua storia d’amore con Edith. Fu lei ad incoraggiarlo a pensare, a scrivere la monumentale opera che solo in parte è tradotta in italiano.

Ma come ogni storia d’amore, anche questa deve trovare la sua fine e il suo compimento. Beren spirò, dopo aver completato la sua missione, dopo aver guardato, per l’ultima volta gli occhi di lei non più luminosi di vita. Lúthien si era lasciata morire di dolore: solo così, oltre alla morte violenta, gli elfi possono morire. Eppure non è altro che una morte apparente, solo gli uomini morendo non sono più, così aveva deciso Ilúvatar. Per amore compirono grandi imprese, per poter danzare e cantare assieme senza timore del male, ma tutto si rivelò vano ora che lui più non c’era, ora che lei non poteva fare altro che ricordare l’eco lontana d’una voce rimpianta che invocava “Tinùviel, Tinùviel!”.

Lúthien fece ciò che mai nessuno aveva fatto prima e che mai più fu fatto: cantò davanti a Mandos, cantò il suo amore, cantò il suo dolore e Mandos si commosse; richiamò l’anima di Beren ma non era in suo potere trattenerla. Egli andò da Manwë che propose a Lúthien due scelte: dimorare tra i Valar dimentica di tutte le sue sofferenze oppure rinunciare alla sua immortalità e ritornare con Beren ad Endor (Terra di Mezzo): alla sua morte di lei non sarebbe rimasto più nulla se non qualche ricordo. Così fu ed ora appaiono in qualche canto ancora narrato dai loro discendenti, ispirandoli a non cedere al male, ispirandoli solo ad amare.

Il 29 Novembre 1971 Edith morì.

Da una lettera a Christopher Tolkien 11 luglio 1972
Finalmente mi sono dato da fare per la tomba della mamma. …. L’iscrizione che vorrei è:
EDITH MARY TOLKIEN
1889-1971
Lúthien
: breve e banale, eccetto per Lúthien, che per me significa più di una moltitudine di parole: perché lei era (e sapeva di essere) la mia Lúthien.*
13 luglio. Dì pure quello che pensi, senza ritegno, su questa aggiunta. Ho iniziato tutto questo sotto il peso di una grande emozione e di un grande rimpianto ‒ e in ogni caso sono afflitto di tanto in tanto (sempre più) da un senso di lutto travolgente. Ho bisogno di un consiglio. Eppure, spero che nessuno dei miei figli pensi che l’uso di questo nome sia una fantasia sentimentale. In ogni caso non è paragonabile alla citazione di nomignoli affettuosi sui necrologi. Non ho mai chiamato Edith Lúthien ‒ ma lei è stata la fonte della storia che col tempo è diventata il cuore del Silmarillion. Fu concepita per la prima volta in una piccola radura boschiva piena di cicuta a Roos nello Yorkshire (dove nel 1917, per un breve periodo, ero al comando di un avamposto della guarnigione Humber Garrison, e lei poté vivere con me per un po’ di tempo). A quei tempi i suoi capelli erano corvini, la sua pelle chiara, i suoi occhi più luminosi di quanto tu non li abbia mai visti, e sapeva cantare ‒ e ballare. Ma la storia si è deviata, io sono abbandonato, e non posso supplicare davanti all’inesorabile Mandos.
Ora non dirò altro. Ma vorrei tanto fare una lunga chiacchierata con voi. Perché, come sembra probabile, se non scriverò mai una biografia organizzata ‒ è contro la mia natura, che esprime i sentimenti più profondi attraverso racconti e miti ‒ qualcuno che mi sta a cuore dovrebbe sapere qualcosa su quelle questioni che i registratori non possono registrare: le terribili sofferenze della nostra infanzia, dalle quali ci siamo salvati l’un l’altro, ma senza saper guarire del tutto le ferite che in seguito si sono spesso rivelate nocive; le sofferenze che abbiamo sopportato dopo l’inizio del nostro amore ‒ e tutte loro (al di là delle nostre debolezze personali) potrebbero aiutare a rendere perdonabili, o quanto meno comprensibili, i lapsus e le tenebre che a volte hanno guastato la nostra vita ‒ e a spiegare come queste non abbiano mai toccato le nostre profondità né offuscato i ricordi del nostro amore giovanile. Da sempre (soprattutto quando eravamo soli) ci incontravamo nella radura dei boschi, e andavamo mano nella mano molte volte per sfuggire all’ombra della morte imminente prima del nostro ultimo distacco.  [8]

Poco dopo morì Tolkien e sotto il suo nome venne inciso quello di Beren.

Lunghe eran le foglie e l’erba era fresca,
E le cicute ondeggiavano fiorite e belle.
Una luce brillava nella foresta,
Era tra le ombre un luccicar di stelle.
Tinúviel ballava nella radura,
Di un flauto nascosto alla musica pura;
Una luce di stelle le inondava i capelli
E la splendida veste, oh Tinúviel!
Lì giunse Beren dal monte imponente
E tra le fronde e gli alberi vagabondò disperso,
E dove il fiume elfico scorre turbolento
Camminò solitario ed in pensieri immerso.
Guardando tra le verdi foglie delle foreste,
Vide con meraviglia dalie dorate
Ricoprir il manto e la lunga veste
E la capigliatura bionda come cascate.
Per incanto i piedi guariti e riposati,
Che condannati erano ad errare lontano,
Ripresero il cammino, senza paura né rimpianto,
E tra i raggi di luna ei giocava con la mano.
Tinúviel tra i boschi elfici
Fuggiva con piedi alati
Lasciandolo senza amici
Nelle foreste e sui prati.
Beren sentì un suono puro, sublime e celeste,
Come di passi e danze pari a petali leggeri;
E musica vibrava sotto le foreste,
Cullando il suo cuore triste ed i suoi pensieri.
Giunse l’inverno e cupi gli alberi e le piante,
Sospiravano tristi, per il tormento
Cadevano le foglie con la luna calante,
La campagna era fredda e gelido tirava il vento.
La cercò sempre, lei ch’era bella,
Tra i rami e le foglie e le fronde delle piante,
Al lume della luna, al raggio della stella,
Sotto un cielo pallido, ghiacciato e tremante.
La sua veste fulgeva al bagliore lunare
Mentre in lontananza sul colle danzava
Ed ai suoi piedi agili si vedeva brillare
Una nebbia d’argento ch’ella emanava.
Passato l’inverno ella tornò a ballare
E col suo canto giunse la primavera,
Come una felice allodola o una rondine leggera,
Ed un fiume che scorre dolce verso il mare;
E quando ai suoi piedi spuntarono i fiori,
Ei non desiderò altro che starle accanto,
Poterla accompagnare nel ballo e nel canto
Sull’erba fresca dai mille colori.
Inseguita, di nuovo ella fuggì via.
Tinúviel! Tinúviel!
Il suo nome elfico era poesia,
Ed ella si fermò un attimo ad ascoltare
Come incantata la voce di Beren
Che svelto la raggiunse e come per magia
La vide fra le sue braccia splendere e brillare
Fanciulla elfica ed immortale.
Ma dal destino amaro furono separati,
E vagarono a lungo per monti e pendici
Tra cancelli di ferro e castelli spietati,
E boschi cupi e tetri e luoghi abbandonati,
Mentre fra loro erano i Mari Nemici.
Ma un giorno luminoso si ritrovaron felici,
Ed assieme partiron, amati e infine uniti,
Attraverso boschi e campagne fioriti.  [9]

[1] Dante Alighieri, Opere minori, tomo I, Ricciardi, Milano-Napoli 1988, p. 78. 

[2] J.R.R.Tolkien, Il Signore degli anelli, La Compagnia dell’Anello, CDE, Farigliano 1988, p. 233.

Il lettore che volesse visionare il testo in lingua originale di questo passo e delle seguenti citazioni lo può trovare nella versione inglese di questo articolo.

[3] Tolkien usa gnomo riprendendo l’etimo greco, non la creatura mitologica.

[4] J.R.R.Tolkien, Beren e Lúthien, Bompiani, Trebaseleghe 2017, p. 86. 

[5] J.R.R.Tolkien, The Lays of Beleriand, HarperCollins, Croydon 2015, p. 193.

Questa testo è stato tradotto dal traduttore della Livella.

[6] J.R.R.Tolkien, Beren e Lúthien, Bompiani, Trebaseleghe 2017, p. 153. 

[7] Ivi, p. 207.

[8] J.R.R.Tolkien, The Letters of J.R.R.Tolkien, George Allen & Unwin, Londra, p. 463.

Questa testo è stato tradotto dal traduttore della Livella.

[9] J.R.R.Tolkien, Il Signore degli anelli, La Compagnia dell’Anello, CDE, Farigliano 1988, p. 233. 

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