«La mia storia finisce in questo giorno, che per l’Italia è giorno di nuova creazione». L’unità d’Italia per lei rappresenta la liberazione dal potere religioso e politico che l’ha oppressa per tutta la vita, personificata nella figura dell’arcivescovo Riario Sforza
La nostra storia inizia a Napoli con una ragazza, una ‘discutibile’ tradizione familiare e un cattivo che pare uscito da un film Disney.
Enrichetta nasce a Napoli nel 1821, figlia di un maresciallo dell’esercito napoletano e di una gentildonna palermitana. Una ragazza sensibile e romantica, con una passione per la lettura. Purtroppo per lei è la quinta di sette figlie femmine, in una famiglia in cui si ha la consuetudine di monacare tutte le figlie femmine meno che la primogenita. E se alcune sue sorelle furono più fortunate riuscendo a sfuggire alla monacazione forzata, ad Enrichetta toccò una sorte diversa. Un primo pretendente la abbandonò perché la dote era insufficiente, un secondo venne allontanato perché ritenuto troppo geloso. Enrichetta, ancora adolescente, non ha quindi nessuna concreta prospettiva di matrimonio quando il padre viene a mancare. La madre, Teresa, decide di risposarsi in fretta per far fronte alle difficoltà economiche. Inizia quindi, ad insaputa della figlia, le pratiche per internarla al monastero di San Gregorio Armeno di Napoli. Un parente ha pietà di Enrichetta e l’avverte. Ma a nulla serve il rifiuto di Enrichetta di lasciare la dimora temporanea presso una sorella sposata. All’epoca la legge permetteva espressamente ai genitori la facoltà di rinchiudere le figlie in istituzioni religiose a prescindere dalla loro età. Teresa infatti accusa la figlia di insubordinazione ed interviene il ministro di Polizia del Carretto. Enrichetta si trova di fronte ad una scelta: essere prelevata e rinchiusa in convento a Reggio dalla polizia, o entrare volontariamente nel convento di Napoli. Tra le due ‘sceglie’ di entrare nel monastero napoletano.
A questo punto però deve intraprendere il noviziato per poter essere ammessa al convento. Le tagliano i capelli, le cambiano i vestiti e nel 1849 Enrichetta prende i voti. Al monastero è un pesce fuor d’acqua. Non solo non vi voleva assolutamente andare ma cólta e amante degli studi si trova in contrasto con le altre monache perlopiù analfabete e secondo lei grette. Adempie all’ufficio di sagrestana e questo la espone ulteriormente alla diffidenza e alle maldicenze delle monache. Si apre uno spiraglio di speranza quando viene eletto Pio IX che doveva essere il ‘papa liberale’. Enrichetta si fa coraggio e presenta una serie di istanze al pontefice per ottenere lo scioglimento dai voti o come minimo una dispensa temporanea per motivi di salute. Tutto pur di uscire dal convento. Il papa le avrebbe anche concesso questa grazia ma si intromette l’arcivescovo di Napoli Riario Sforza negandole il nulla osta. Da quel momento l’arcivescovo perseguiterà Enrichetta impedendole in tutti i modi di sottrarsi ai voti.
E così quando nel 1848 insorgono varie città, mentre tutte le monache pregavano affinchè finissero i moti, Enrichetta sperava che i movimenti unitari avessero la meglio e che in un Italia unita sarebbe riuscita a sfuggire al potere dell’arcivescovo. Ormai in aperto conflitto con le altre monache che la reputavano una rivoluzionaria, settaria ed eretica, dimostrava il suo sostegno alla causa comprando i giornali dell’opposizione e li leggeva ad alta voce in convento, sfruttando una delle poche libertà loro concesse: la libertà di stampa. Sognava un giorno di poter scappare e denunciare in forma scritta la crudeltà e le condizioni di una monacatura forzata, imposta a tante giovani donne. Sognava che questi suoi testi di denuncia venissero tradotti in più lingue in modo che tutto il mondo sapesse della sua condizione. Questo briciolo di libertà dura poco: il governo borbonico fa partire una campagna di repressione antiliberale ed Enrichetta temendo ritorsioni dà fuoco a tutte le sue memorie. Nel frattempo sembra che le sue richieste siano state ascoltate. Il papa le dà l’autorizzazione a trasferirsi in conservatorio. È una magra consolazione, lei avrebbe preferito poter tornare a casa della madre con la quale si era riappacificata e che si era frattanto anche separata dal marito. Riario Sforza non accetta con grazia di essere stato scavalcato e le impone di lasciare al convento tutti i suoi beni. Ma tutte le sue speranze per un miglioramento della sua condizione vengono infrante: al Conservatorio di Constantinopoli le vengono tolte tutte le cose su cui faceva affidamento per la sua sopravvivenza psicologica. Le vengono confiscati i libri e le viene impedito di suonare il pianoforte o di scrivere. Riesce a salvare solo un fascio di carte rivoluzionarie in cifra ed un pugnale e una pistola a lei affidate da un cognato cospiratore.
Disperata inizia a leggere i testi devozionali consentiti dalla Badessa, tra i quali trova Vita delle sante martiri, che non le dispiace in quanto testimonianza del contributo delle donne alla società. Di nascosto invia lettere all’esterno nascondendole nel cesto della biancheria sporca, aiutata da una domestica. Purtroppo alcuni suoi scritti arrivano fino a Riaro Sforza che li invia a Pio IX per evitare che questi cedesse alle suppliche di Teresa che oramai chiedeva sovente la libertà della figlia. La salute mentale di Enrichetta peggiora e nel 1849 le viene concesso di andarsi a curare ai bagni con la madre. Ma è un momento di respiro breve. L’arcivescovo torna a perseguitarla: le nega il rinnovo della licenza, le sequestra l’assegno della sua dote di monaca e la costringe quindi a vivere della carità dei parenti. Enrichetta non ce la fa più e tenta il tutto per tutto, con l’aiuto della madre fugge e trova rifugio sotto la protezione del vescovo Serra di Cassano. Viene emanato l’ordine di arresto. E il suo protettore muore pochi giorni dopo. Ma non tutto è perduto, un altro amico ecclesiastico, il sacerdote Spaccapietra, riesce a farle avere un permesso per abitare con la madre. L’arcivescovo allora ricorre alla sua influenza presso re Ferdinando II e manda la polizia ad arrestarla. La portano al ritiro di Mondragone dove la chiudono in isolamento. Enrichetta non ce la fa più. Rifiuta il cibo e tenta il suicidio, colpendosi con un pugnale, ma si ferisce soltanto. Sopravvive, sopravvive un intero anno in isolamento. Non le fanno neanche salutare la madre sul letto di morte. Ad aiutarla è una zia che ottiene dalla Sacra Congregazione dei Vescovi ‒ che non vede di buon occhio l’accanimento di Riario Sforza ‒ una prescrizione per la cura dei bagni a Castellammare. Enrichetta riesce finalmente ad uscire. A Castellammare gode di una relativa libertà, ma nel frattempo era entrata a far parte delle reti cospirative e torna quindi clandestinamente a Napoli. Per sfuggire alle spie dell’arcivescovo cambia in sei anni 18 abitazioni e 32 donne di servizio. Organizza anche un sistema di controspionaggio per individuare i poliziotti in borghese che la pedinavano.
Il sette settembre 1860 nel Duomo di Napoli risuona il Te Deum per celebrare l’arrivo di Garibaldi e la fuga di Federico II. Una donna si avvicina all’altare e vi depone il velo nero di monaca. È Enrichetta Caracciolo che così ci descrive quel giorno: «La mia storia finisce in questo giorno, che per l’Italia è giorno di nuova creazione». L’unità d’Italia per lei rappresenta la liberazione dal potere religioso e politico che l’ha oppressa per tutta la vita, personificata nella figura dell’arcivescovo Riario Sforza.
Finalmente libera, dopo pochi mesi sposa col rito evangelico ‒ essendole stato negato quello cattolico ‒ un patriota napoletano Giovanni Gruether. Nel 1864 pubblica le sue memorie con la società editrice Barbera di Firenze. È un successo, ripubblicato otto volte e tradotto in sei lingue diverse. Venne apprezzato da personaggi di spicco come Manzoni, il principe di Galles, Garibaldi. E da lì Enrichetta scrive, scrive altri romanzi, fa la giornalista politica. Una vita tranquilla, pian piano scompare dalla scena pubblica. Solo la Chiesa non si dimentica di lei e anzi nel 1888 l’arcivescovo di Edessa le chiede un incontro nel tentativo di farla tornare al cattolicesimo. La minaccia dicendole che in punto di morte lo manderà a chiamare. Ed Enrichetta gli risponde: «Monsignore, mi duole dirvelo: per legge naturale, toccherebbe a voi morire prima di me».
[1] L. Guidi, A. Russo, M. Varriale, “Il Risorgimento invisibile. Patriote del Mezzogiorno d’Italia”, Comune di Napoli Edizioni (2011)
[2] Lo Giudice Sergi, Lina, “Donne d’italia tra risorgimento e resistenza : dizionario, salotti e rivoluzione”, Lepisma (2012)