Le tre
ipostasi

Plotino di Licopoli

Thomas Masini
Filosofia

     La filosofia di Plotino è l’ultima grande filosofia pagana capace di resistere dinnanzi alla rapida ascesa del Cristianesimo. Benché essa rientri nel novero di quelle teorie definite neoplatoniche – ed in effetti lo stesso Plotino ritiene di star semplicemente riassumendo ed esplicitando la filosofia di Platone – in essa sono presenti forti connotazioni stoiche e soprattutto aristoteliche.
Proprio per questi motivi la comprensione dell’ontologia plotiniana richiede la conoscenza di alcuni punti specifici dei pensieri di Platone e di Aristotele, che il lettore potrà trovare nell’Approfondimento presente in questo numero.

L’opera di Plotino – redatta dal suo allievo Porfirio ‒ ha come titolo “Enneadi” e si tratta appunto di sei gruppi di testi composti ciascuno di nove trattati, i quali ripercorrono ed approfondiscono un’ampia gamma di tematiche filosofiche.
Per restringere il campo e concentrarci sull’aspetto ontologico, si è deciso di affrontare solo un piccolo brano dell’opera, ed in particolare: gruppo V, trattato 2, capitolo 1. 

L’Uno è tutte le cose e non è nessuna di esse: infatti il principio di tutto non è il Tutto; Egli è il tutto, in quanto il Tutto ritorna a lui; e cioè nell’Uno non si trova ancora, ma vi si troverà.
[Plot. Enn. V, 2, 1]

Alla sommità della scala ontologica plotiniana vi sono tre ipostasi: l’Uno, l’Intelligenza e l’Anima. Ognuna di esse possiede determinati caratteri e relazioni rispetto alle altre e agli enti molteplici del mondo; come è facile intuire, alla sommità presiede l’Uno.

L’Uno è tutte le cose e non è nessuna di esse: infatti il principio di tutto non è il Tutto; Egli è il tutto, in quanto il Tutto ritorna a lui; e cioè nell’Uno non si trova ancora, ma vi si troverà.
[Plot. Enn. V, 2, 1][1]

Da questo passo possiamo prendere le mosse per capire meglio cosa sia l’Uno di cui parla Plotino. L’Uno, in quanto principio del Tutto, non è identificabile come l’insieme di tutte le cose, ossia all’inizio del movimento (sia consentito usare questi termini solo in senso lato, poiché qui non è ancora presente la temporalità, né sarebbe possibile discutere se tale ‘movimento’ sia solo logico o anche concreto) il principio ontologico è differente rispetto alla totalità ontologica. Allo stesso tempo l’Uno sarà il Tutto perché vi è un ‘movimento’ di ritorno di tutte le cose verso l’unità. Ma come è possibile, innanzitutto, che dall’unità emerga la molteplicità?

Ora, proprio perché è in Lui, tutto può derivare da Lui; affinché l’Essere sia, Egli per questo non è essere, ma soltanto il genitore dell’Essere, e questa che chiamerò genitura è prima. Egli infatti è perfetto perché nulla cerca e nulla possiede e di nulla ha bisogno; e perciò, diciamo così, trabocca e la sua sovrabbondanza genera un’altra cosa.
[Ibidem]

Questo passaggio, davvero complesso, richiede un’esplicitazione più ampia. La domanda che ci si poneva poc’anzi era come fosse possibile passare dall’Unità alla molteplicità; Plotino inizia quindi a dimostrare come l’Uno sia in sé generativo. Nel principio ontologico è in qualche modo presente il Tutto – anche se non nella forma della totalità intesa come ‘somma di tutte le cose’ – pertanto è evidente che ogni cosa può, potenzialmente ed effettivamente, derivare da Lui. Il termine ‘derivare’ indica qui ‘l’essere’ di qualcosa, e in questo senso ogni cosa deriva il suo stesso essere dall’Uno, e in questo modo anche l’Essere stesso, inteso come l’esistenza di ogni cosa, deriva a sua volta dall’Uno. Questo è un punto di estrema importanza: se si intende l’Essere come appunto ‘l’esistenza di ogni cosa’, è evidente che l’Uno non può essere l’Essere, in quanto vi sarebbe identità tra l’essere-di-ogni-cosa e l’Uno, e quindi quest’ultimo non sarebbe più il principio ontologico di ogni cosa, ma l’essere-di-ogni-cosa e quindi propriamente la totalità ontologica. L’Uno è il genitore dell’Essere (il quale ovviamente è il puro Essere, non essendovi ancora alcuna cosa della quale si possa predicare l’essere), e questa è la prima genitura delle ipostasi plotiniane. In questo senso l’Uno è precedente all’essere-di-ogni-cosa, e quindi sembra porsi in una posizione antecedente rispetto all’Essere stesso. La sua perfezione – non cerca nulla perché di nulla ha bisogno e perché ogni altra cosa è successiva rispetto a Lui – corrisponde ad una sovrabbondanza generativa, ossia è la causa della sua generatività (si ricordi come questo accade anche per il Bene platonico). Chiarito questo punto, si può porre l’attenzione sulla seconda delle ipostasi. 

Ma l’Essere così generato si volge a Lui e tosto ne è riempito e, una volta nato, guarda a se stesso e questa è l’Intelligenza [νοῦς]. Il suo orientarsi verso l’Uno genera l’Essere, lo sguardo rivolto verso se stesso genera l’Intelligenza. Ma poiché l’Intelligenza per contemplarsi deve persistere in se stessa, diviene insieme Intelligenza ed Essere. E così l’Essere, essendo simile a Lui, genera ciò che gli è affine, riversando fuori la sua grande potenza; ma anche questa è un’immagine di Colui che, prima di lui, manifestò la sua potenza [δύναμιν].
[Ibidem]

L’Essere generato dalla sovrabbondanza dell’Uno si volge naturalmente verso quest’ultimo (in quanto non può volgersi che verso il suo generatore), e questo ‘volgersi a’ corrisponde ad un riempirsi ‒ che è anche un compimento ed una soddisfazione, poiché il verbo usato da Plotino è πληρόω. Allo stesso tempo accade un movimento autoriflessivo, e l’Essere si volge verso se stesso; questa auto riflessività viene chiamata da Plotino Intelligenza (ed infatti anche noi intendiamo per intelligenza in senso più ampio la consapevolezza di sé). È interessante notare come, dopo la generazione che avviene grazie alla sovrabbondanza dell’Uno, la distinzione e la stabilità di ciò che è generato dipende da un ‘volgersi a’, e pertanto da una relazione: l’essere è legato ad una relazione riflessiva ed auto-riflessiva, e per questo vi è una forma di identità tra l’Essere e l’Intelligenza (tra l’Essere e la razionalità intesa nel senso più ampio ed elevato del termine).
 Il contemplarsi dell’Intelligenza presuppone l’essere (lo stare) presso di sé, ossia una forma di stabilità ontologica, e per questo essa diviene allo stesso tempo Intelligenza ed Essere. Come l’Uno, così l’Essere genera ciò che gli è simile, e per poter fare questo riversa all’esterno la sua potenza; questa generatività non è altro che un’immagine della generatività sovrabbondante ed originaria dell’Uno. 
A questo punto, nonostante si sia giunti alla seconda ipostasi e siano state poste le basi dell’esistenza intesa come ‘l’essere di ciò che è’, non abbiamo ancora risposto alla nostra prima domanda: come avviene il passaggio dall’Uno al molteplice? Per scoprirlo è necessario proseguire con il testo di Plotino.

Questa forza che procede dall’Essere è l’Anima, ma questa diviene, mentre l’Intelligenza nacque mentre colui che è prima di lei persiste nella sua immobilità.
Ma l’Anima non è immobile nel suo generare, anzi, una volta in movimento, genera la sua immagine. Essa, finché guarda lassù donde ebbe origine, si riempie di Intelligenza, ma se procede verso un’altra e opposta direzione, genera la sensibilità, sua immagine, e la potenza vegetativa che è nelle piante.
[Ibidem]

La potenza generativa dell’Essere (in questo caso forza, energia, perché il termine utilizzato è ἐνέργεια), che procede dall’Essere verso l’esterno è chiamata da Plotino ‘Anima’ [ψυχή], e, a differenza dell’Uno e dell’Intelligenza, essa diviene. Sostanzialmente, la nascita dell’Intelligenza corrisponde ad un’auto riflessione dell’Essere nella sua immobilità – e per questo l’Intelligenza è a sua volta immobile – mentre l’Anima è un’effusione di potenza generativa dell’Essere al di fuori di sé, e pertanto essa è in movimento.
Questo movimento, che potremmo in un certo senso definire ‘moto dell’Anima’, la porta a generare la sua immagine, ed equivale ancora una volta ad un ‘volgersi a’ generativo. Quando essa si volge all’Intelligenza genera il pensiero; quando si volge verso se stessa istituisce la sua conservazione, la sua stabilità; quando si volge a ciò che sta più in basso di lei diviene una forza ordinatrice, governatrice e reggente. In questo modo l’Anima, volgendosi verso l’Intelligenza, ordina l’universo in quanto pensiero; allo stesso tempo, volgendosi verso il basso, governa  l’universo corporeo, ed è la Provvidenza. 
Tuttavia permane un dubbio: quando l’Anima si volge verso il basso che cosa governa? Ovviamente il mondo corporeo, il quale però è molteplice, imperfetto e, a volte, malvagio. Dobbiamo forse intendere che questi scadimenti, queste note stonate siano generate dall’Anima? Assolutamente no. Plotino introduce a questo punto il principio stesso dell’imperfezione: la materia. Essa non è altro che privazione di realtà e di bene, massima distanza dall’Uno, un elemento materiale ed inadeguato che viene informato dallo spirito ordinatore dell’Anima. 

Riassumendo quanto detto, le tre ipostasi plotiniane sono l’Uno, l’Intelligenza e l’Anima. Esse ricordano da vicino la trinità cristiana, ma bisogna mettere in guarda rispetto a delle indebite assimilazioni di concetti. L’Uno non è un Dio razionale e creatore, ma un principio ontologico generatore. L’Intelligenza è l’auto riflessività stessa dell’Essere: quando l’Essere si volge al suo creatore ne deriva la propria stabilità ontologica, quando si volge a sé diviene Intelligenza, ossia riflessione dell’Essere sull’Essere. L’Anima è la potenza dell’Essere che diviene Pensiero e Provvidenza che governa la materia, quell’ombra scura di male ed imperfezione che appare al limite della luce.
La grandiosa costruzione plotiniana è particolarmente interessante perché all’interno del movimento ontologico trova spazio la relazione, il ‘volgersi a’, e segna un passo fondamentale e imprescindibile per tutta la filosofia successiva. 

[1] Tutte le citazioni plotiniane presenti nel testo provengono da: Plotino, Enneadi (a cura di Giuseppe Faggin), Bompiani, Milano 2014.