Alcuni pensano che si diventi buoni per natura, altri per abitudine, altri per insegnamento. […] il ragionamento […] e l’insegnamento non hanno, temo, sempre efficacia su tutti, ma occorre preparare prima, con le abitudini, l’anima di chi li ascolta […] così come si deve preparare la terra che dovrà nutrire il seme.
‒ Aristotele, Etica Nicomachea, X, 9, 1179b, 20 e passim.
Da bambini siamo come spugne: assorbiamo anche le più piccole informazioni che ci circondano (come il linguaggio, le norme sociali e la gestualità) e con esse costruiamo la nostra personalità e la nostra visione del mondo. Per questo, molti dei principî sui quali noi basiamo le nostre opinioni da adulti si formano ad un’età molto precoce – è quindi necessario chiedersi se un’opinione sia davvero solo frutto della nostra individualità, oppure sia invece condizionata da fattori esterni.
La più comune delle contro-argomentazioni è l’assunto che i bambini siano troppo “piccoli” per comprendere il vero significato delle preferenze sessuali.
Una persona che cresce guardando programmi televisivi che mostrano quasi solamente la famiglia eterosessuale può essere meno disposta, da adulta, ad accettare l’omosessualità? E l’eterosessualità può essere percepita come la condizione migliore, e più desiderabile, proprio a causa della sua frequente esposizione non solo in televisione, ma anche nelle favole e – più in generale – nei libri per bambini? Se la risposta a queste domande è affermativa, allora tutto questo come agisce sulle persone che si identificano come LGBTQ, soprattutto rispetto al processo di coming out?
Quasi sicuramente una maggiore inclusione di personaggi LGBTQ nei programmi per bambini contribuirebbe a “normalizzare” quella diversità che noi oggi vediamo nelle nostre comunità, aiutando a rimuovere quei tabù che ancora persistono attorno al rapporto tra omosessualità ed educazione dei bambini. Una loro maggiore esposizione a questa realtà potrebbe costituire un elemento fondamentale per accrescere, da adulti, la capacità di accettazione.
Gli studi di Rebecca Bigler, psicologa dello sviluppo e professoressa di Psicologia all’ Università del Texas, mostrano importanti risultati; da uno di questi esperimenti [1], in particolare, emergono due importanti rilevamenti. In primis, l’atteggiamento più comune dei genitori quando presentano ai loro figli un testo sul tema etnico è di ignorare le differenze – o comunque metterle in secondo piano. Invece di porre i bambini di fronte al problema oggettivo, le discussioni non si focalizzano sull’aspetto etnico ma su quello morale che emerge dal testo in generale. Questo modo d’agire sembra basato su delle buone intenzioni: si assume che il loro silenzio sull’aspetto etnico possa insegnare a non prestare attenzione alle differenze e in questo modo a rimanere imparziali. In secondo luogo, l’atteggiamento dei bambini rispetto al tema etnico può essere previsto sulla base dei rapporti di amicizia inter-etnica intrattenuti dalla loro madre. Ossia, bambini le cui madri hanno un’alta percentuale di amici di etnie extra-europee mostrano un livello più basso di pregiudizi sul tema.
Inoltre, in un differente studio [2], Bigler e Liben hanno ottenuto importanti risultati circa le domande intorno al modo in cui i bambini imparano e costruiscono gli stereotipi e i pregiudizi. La notazione più importante è questa: non parlare delle differenze etniche può avere un impatto fortemente negativo sulla psicologia infantile. Quando è stato loro chiesto perché tutti i Presidenti degli Sati Uniti fino ad oggi (Obama non era ancora stato eletto) fossero di “etnia bianca”, il 26% dei bambini riteneva che non fosse legalmente possibile per una persona di “etnia nera” diventarlo. E questo è accaduto sebbene probabilmente a nessuno di loro sia mai stata detta una cosa simile: ragionandovi sopra essi hanno inferito questa conclusione a causa della mancanza di una educazione appropriata a riguardo.
Volgendoci ora al nostro tema, sarebbe davvero interessante sapere questo: fino a che punto potremmo trarre le stesse conclusioni se sostituissimo alla parola “etnia” le parole “orientamento sessuale”? Evitare di parlare dell’omosessualità porta i bambini a trarre simili conclusioni pregiudicanti?
Un altro aspetto che non può essere ignorato è quello dei bambini che crescono in una cosiddetta “famiglia arcobaleno”. Una mancanza di adeguata educazione sul tema negli individui che formano il gruppo sociale nel quale la loro famiglia è inserita – mancanza che deriva dall’ignorare o tacere questi argomenti – può portarli a credere che vi sia qualcosa di atipico od anormale in loro. Ad esempio, come si può pretendere che un bambino spieghi ai suoi compagni di classe che ha due padri o due madri, se queste stesse possibilità sono escluse a priori dall’ambito di esperienza e conoscenza di questi? Vedere più personaggi famosi dei loro film preferiti all’interno di una struttura familiare “arcobaleno” potrebbe aiutarli a sentire se stessi e percepire la propria situazione come più “normale”.
La più comune delle contro-argomentazioni è l’assunto che i bambini siano troppo “piccoli” per comprendere il vero significato delle preferenze sessuali.
Chi pensa questo solitamente crede anche che i bambini siano più inclini a diventare omosessuali per curiosità, qualora ad essi vengano presentate queste realtà. Vi sono due problemi rispetto a queste argomentazioni. Innanzitutto si presuppone che un aumento delle persone che identificano se stesse come “omosessuali” sia di per sé una cosa negativa, e questa è evidentemente un’assunzione discriminatoria. Secondariamente, se questi bambini sono troppo “piccoli” per comprendere le preferenze sessuali, allora l’approccio più corretto sarebbe inibire totalmente questo tipo di contenuti (compresi quelli che si riferiscono alle famiglie eterosessuali). Poiché questa possibilità non è realistica, dev’essere accettato come un dato di fatto che i bambini sono necessariamente esposti a contenuti che riguardano la sfera dell’orientamento sessuale. Così, privilegiare in questi casi un solo orientamento non è altro che una tipologia di discriminazione nei confronti della comunità LGBTQ.
Shaun Delley, Vicepreside della scuola primaria Alfred Salter di Rotherhithe, a Londra, ha lanciato un’iniziativa (“Inclusione per tutti”) per cercare di affrontare il problema del bullismo omofobico nel suo istituto. L’idea che sta alla base del suo progetto è che i bambini non siano mai troppo piccoli per capire che il bullismo omofobico è sbagliato. L’ispirazione iniziale per questa iniziativa è tratta da una ricerca compiuta in questo stesso istituto: essa ha mostrato come il 75% degli studenti esperisse comportamenti e linguaggio omofobico (un uso peggiorativo della parola “gay”) giornalmente. Inoltre, ha mostrato come in più del 76% dei casi i bambini conoscessero il significato dell’espressione “essere gay o lesbica” [3].
Il forte impatto negativo sull’acquisizione dei pregiudizi che può nascere da una mancanza di educazione adeguata è stato messo in luce da un famoso esperimento di Jane Elliott nel 1968. Elliott ha diviso un gruppo di bambini (tutti di etnia bianca) in base al colore dei loro occhi, e ha poi detto loro che gli individui con gli occhi marroni erano più intelligenti, acuti e migliori di quelli con gli occhi azzurri (e viceversa). Questo esperimento ha dimostrato che i pregiudizi sono un carattere acquisito e come tali possono anche essere corretti, ossia eliminati [4]. James Arthur (Preside della Scuola di Educazione e professore di Educazione e Impegno civico all’Università di Birmingham) e Kristján Kristjánsson, (Vicedirettore del centro Giubileo per il Carattere e le Virtù e professore di Educazione caratteriale ed Etica della virtù all’Università di Birmingham), hanno implementato queste stesse conclusioni con le loro ricerche sull’educazione del carattere. I loro risultati suggeriscono che le storie, specialmente quelle che possono essere proiettate sul grande schermo, sono supporti molto utili per accrescere quella che viene definita “alfabetizzazione sulla virtù” [5]. Il programma “Virtù cavalleresche”, ideato dal centro Giubileo, è pensato per bambini appartenenti alla fascia 9-11 anni, i quali realizzano dei disegni sulla base di una serie di storie selezionate per aiutare l’apprendimento del carattere morale nelle scuole [6]. Recenti studi del medesimo centro hanno mostrato come le qualità che costituiscono il carattere possono essere insegnate e apprese, e suggeriscono che vi sia bisogno di una maggiore enfasi sulla loro importanza nelle scuole e nella educazione professionale [7].
A partire da tutte queste considerazioni, una diffusione più popolare di personaggi LGBTQ nella televisione mainstream, soprattutto quella diretta ai bambini (ad esempio i film Disney) potrebbe essere un notevole passo avanti per dare alle generazioni future un’educazione più moderna ed inclusiva. Nello stesso modo in cui la presenza di attori di “etnia nera” nei ruoli principali dei film di Hollywood era percepita come “scandalosa” e “inaccettabile” in momenti storici precedenti al nostro, (e, tristemente, la loro presenza in relazione alla totalità è ancora abbastanza insoddisfacente [8]), questo accade ora per i personaggi LGBTQ. Secondo uno studio del GLAAD [9], la presenza di personaggi LGBTQ nei film ‒ in generale, ma particolarmente in quelli rivolti ad un pubblico adulto ‒ ha subito un calo nel 2017 [10]. Il primo passo per affrontare questa sottorappresentazione nei programmi televisivi per bambini è stato compiuto da grandi case di produzione come Disney e Nickelodeon [11]; tuttavia si tratta quasi sempre di ruoli secondari e comunque in produzioni che non sono focalizzate in particolare sull’argomento. Vi è ancora una lunga strada da percorrere prima che sia possibile per noi vedere personaggi principali di produzioni dedicate ai bambini che appartengano alla comunità LGBTQ.
Chi scrive ritiene che le iniziative educative rivolte ai bambini della scuola primaria (a partire dagli 8-10 anni di età) siano assolutamente necessarie per creare un ambiente sociale di supporto e accettazione per questi stessi bambini ‒ in particolare quelli che identificano se stessi come LGBTQ.
[1] Pahlke E., Bigler R.S., Suizzo M.A. – Relations between colorblind socialization and children’s racial bias: evidence from European American mothers and their preschool children. Child Dev. 2012 Jul-Aug;83(4):1164-79. Disponibile al link: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22537347.
[2] Bigler R.S., Liben L.S. – A developmental intergroup theory of social stereotypes and prejudice. Adv Child Dev Behav. 2006;34:39-89. Disponibile al link: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/17120802.
[6] Arthur J., Harrison T., Carr D., Kristjánsson K., Davidson I., Hayes D., and Higgins J., (2014) Knightly virtues : enhancing virtue literacy through stories : research report. Project Report. Jubilee Centre for Character and Virtues, University of Birmingham. Available at: http://epapers.bham.ac.uk/1946/.
[7] Idem.
[8] New York Film Academy: Black inequality in Film (Infographic): In the top 500 grossing films from 2007 – 2012, 12.4% of speaking characters were portrayed by Black actors vs. 75.8% of White characters. Disponibile al link: https://www.nyfa.edu/nyfa-news/black-inequality-in-film-infographic.php#.XL5e5zBKgdU.
[9] Gay and Lesbian Alliance Against Defamation (Alleanza Gay e Lesbica Contro la Discriminazione).