I granelli di sabbia sono esseri umani che nel deserto delle esistenze scoprono la loro vera identità di piccola luce capace di unirsi agli altri.
Sole e pioggia si confondono, freddo e caldo camminano sottobraccio, primavera combatte con inverno, autunno rincorre estate, tempeste radioattive e siccità sono diventati l’orizzonte di esistenza di tanti granelli di sabbia all’interno di un arido paesaggio chiamato Terra. Paesaggio che è un disperato deserto alla ricerca della sorgente di salvezza.
Il deserto è una totalità di innumerevoli granelli di sabbia per i quali, a partire dalle loro singole ed uniche prospettive, esso assume un significato diverso: è orizzonte caldo ed opprimente o tempesta impetuosa, è territorio in cui danzano speranza e disperazione. Ogni granello di sabbia vive il suo deserto personale. Ognuno ne abita un angolo e, perdendosi in quel panorama arido, a poco a poco, vi scorge l’origine di un tesoro di immenso valore: scavando nel profondo, l’aridità diviene sorgente.
Nelle Sacre scritture e nella letteratura, il deserto è luogo di sofferenza, passaggio e rivelazione dove la fatica dell’affrontare l’aridità porta con sé il germoglio della speranza e della rinascita.
Il deserto rappresenta una fase esistenziale che esiste per liberarsi di pesi ingombranti, per sentire soltanto quella identità da granello di sabbia, entità fragile ma dotata di una potenza meravigliosa. Tale fase esistenziale propone ad ogni granello, dunque, un cambio di prospettiva per guardare a quel paesaggio arido: il nulla, l’aridità diventano origine e sorgente di novità e salvezza. Ma in che modo? Come è possibile oltrepassare la disperante siccità e trovare in essa l’origine di una inesauribile, inaspettata, profonda ma invisibile sorgente di acqua che ridona vita e che è in grado di dipanare il vetro appannato di ogni esistenza?
Ad ogni granello di sabbia, intrappolato nel suo angolo di deserto e nell’orizzonte che quello spazio gli presenta, infatti, improvvisamente la vita appare come un miracolo perché non viene data per scontata: l’aridità estrema accende la sensibilità del sentirsi vivi, la siccità dell’anima diviene ciò che alimenta il fuoco della mente umana, la sua capacità di guardare ed incarnare l’invisibile e la forza in esso contenuta. Il deserto diviene così un contenitore di piccoli granelli di sabbia che, scavando, incontrandosi, confondendosi, mischiandosi, si scoprono lucciole che, facendo ognuno la propria luce nel buio del deserto, lasciandosi coinvolgere da quel paesaggio, rischiarano il vetro appannato delle esistenze. Dunque, i granelli di sabbia sono esseri umani che nel deserto delle esistenze scoprono la loro vera identità di piccola luce capace di unirsi agli altri, di passare dalla non vita alla vita piena, incarnando quel paesaggio arido e trasformandolo in accecante origine di trasformazione: «Ho sempre amato il deserto. Ti siedi su una duna di sabbia. Non si vede niente. Non si sente niente. E tuttavia qualcosa riluce in silenzio». [1]
Con l’entrata nel deserto, quindi, vi è la possibilità di illuminare la propria anima ed aprirla ad un nuovo obiettivo, al coraggio di continuare a camminare perché certi che, da un momento all’altro, dapprima dentro se stessi e poi all’esterno, un’oasi di ristoro apparirà all’orizzonte e così, nella sua profondità, l’aridità di un granello di sabbia si trasformerà in una sorgente di luce, piccola lucciola di rinnovata vita.
Il deserto rappresenta quindi un paesaggio interiore. Il paesaggio infatti non è soltanto qualcosa con cui ogni individuo si rapporta esternamente, esso non si esaurisce nella contemplazione, ma eccede lo sguardo, la prospettiva di ogni granello di sabbia che diviene lucciola: in questo eccedere il deserto diviene cifra dell’evoluzione dell’identità, un panorama interno, un ‘paesaggio neuroestetico ed etico’ che viaggia nel cervello, coinvolgendo corpo, affetti, memoria, sensi, sguardo fino alle credenze, ai valori e ai comportamenti. Ogni deserto è passaggio dall’interiorità a esteriorità, un paesaggio dell’anima di un granello di sabbia che diviene panorama di un’esistenza nuova da lucciola, abitante coraggiosa e luminosa del pianeta Terra.
In tale paesaggio neuroestetico, etico ed esteriore si parte dal caos, dall’incertezza, dalla superficie, dai granelli di sabbia e si giunge all’ordine, alla stabilità, alla profondità, alla nascita di lucciole la cui piccola luce diviene stimolo d’origine, sorgente di salvezza. Il deserto come paesaggio interiore sconfina e scavalca la sua definizione e crea una frattura nel suolo, in quella comunità di granelli di sabbia, una tensione questa che è abbraccio e distanza, mente e corpo, paura e mutazione. Tuttavia, a poco a poco, proprio da quella frattura, da quel buio soffocante, da quel profondo invisibile contenitore della vera radice, qualcosa inizia inaspettatamente a brillare: una luce intermittente di granelli di sabbia che si trasformano in lucciole di nuova esistenza che, come stelle e come insistenti gocce di acqua zampillante, appare come sorgente di una nuova origine, come un pozzo di rinnovate anime e respiri, di oltrepassanti sguardi e di rivoluzionarie e tenere azioni, di granelli di sabbia quindi che assumono il rischio di farsi portatori di ‘nuovi paesaggi d’esistenza’ e del divenire lucciole nei deserti aridi dell’esistenza, « “ciò che fa bello il deserto”, disse il piccolo principe, “ è che nasconde un pozzo da qualche parte” ». [2]
[1] Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe, Fabbri Centauria, Milano 2014, p.108.
[2] Ibidem.