Chi mantiene il monopolio delle terre rare, dunque, controlla il mondo dell’high-tech, della tecnologia green e quindi, in un certo senso, il mondo stesso.
Si chiamano “terre rare”, ma sono ovunque attorno a noi. Le troviamo sparse all’interno della crosta terrestre, ma fanno parte anche dello smartphone o del computer con cui leggiamo La Livella. Ignorate per secoli, oggi sembrano determinanti nel modellare il futuro, sia tecnologico che geopolitico. Grazie alle loro proprietà elettroniche guidano il mondo verso il paradosso: se da un lato promettono una svolta green del pianeta, dall’altro rendono il loro processo di estrazione altamente inquinante.
Scoperte alla fine del ‘700, il primo utilizzo delle terre rare avvenne nel ‘900, all’interno di lampade ad incandescenza ed accendini. Oggi si trovano pressoché in ogni apparato tecnologico, anche se non lo sappiamo: magneti (neodimio), laser (ittrio), fibre ottiche (erbio), televisori (europio), batterie (cerio, lantanio, praseodimio), ceramiche e vetri (praseodimio). Il che implica che esse sono elementi fondamentali in smartphone, tablet, computer, macchine elettriche e ibride, pale eoliche, lampadine di ultima generazione, televisori, strumenti medici come la risonanza magnetica, centrali nucleari, radar e sonar, aerei, etc.
Chi mantiene il monopolio delle terre rare, dunque, controlla il mondo dell’high-tech, della tecnologia green e quindi, in un certo senso, il mondo stesso. Nel passato tale controllo è stato nelle mani degli Stati Uniti, ma oggi il 97% delle terre rare utilizzate nel mondo provengono dalla Cina. A differenza di altri metalli, non esistono miniere o depositi di blocchi di terre rare pure. Esse sono disperse in mezzo ad altri metalli, per giunta mescolate tra loro. Per separarle dagli altri componenti, si usano una serie di processi i cui prodotti sono spesso tossici e radioattivi. Non a caso l’unica miniera statunitense di terre rare, in California, venne chiusa per una decina d’anni dopo un’investigazione federale che dimostrò la dispersione di circa due milioni di litri di acqua radioattiva nel terreno. È facile intuire che l’estrazione delle terre rare è un business complesso e, se compiuto nel rispetto dell’ambiente, poco redditizio. Per questo attualmente i paesi di tutto il mondo preferiscono comprare il loro fabbisogno di terre rare dalla Cina, dove l’estrazione è molto meno costosa ma ha effetti devastanti sull’ambiente e sugli abitanti dei villaggi vicini alle miniere [1]. Ma se da una parte il mondo preferisce scaricare la responsabilità dell’estrazione alla Cina, dall’altra si fa strada la ben fondata preoccupazione che il dragone rosso possa imporre al mondo condizioni (ed eventualmente ricatti) sempre più pesanti circa l’approvvigionamento delle terre rare. Per questa ragione, nuove strategie geopolitiche si fanno strada, nel tentativo di riequilibrare lo strapotere cinese. Un esempio è dato dall’estrazione di terre rare dai fondali oceanici, di cui il Giapponese è tra i paesi pionieri [2]. Ma anche questo tipo di estrazione porta con sé inquietanti conseguenze circa l’impatto ambientale nella distruzione dei fondali marini.
Ma perché le terre rare sono così speciali? Quali sono e da dove nascono le proprietà che le contraddistinguono?
Per rispondere iniziamo con l’osservare la tavola periodica degli elementi. In essa, ogni elemento è unico per il numero di protoni ed elettroni che lo compone. Gli elementi sono disposti in ordine crescente di protoni ed elettroni, per cui ogni casella contiene un elemento con esattamente un protone e un elettrone in più rispetto alla precedente, e un protone e un elettrone in meno rispetto alla successiva.
Eppure nella tavola periodica esiste un buco. Dopo il bario, che possiede 56 protoni e 56 elettroni, si salta direttamente all’afnio, con 72 protoni ed elettroni. Chi sono i quindici elementi mancanti? Sono i lantanidi, rappresentati a parte – in basso di solito – per via delle loro peculiari proprietà elettroniche. Essi, assieme allo scandio e all’ittrio, sono le terre rare di cui stiamo parlando.
La ragione per cui sono rappresentati separatamente nasce dal desiderio di mantenere un certo ordine nella tavola periodica, dettato dalle caratteristiche chimiche degli elementi. La particolarità delle terre rare sta nel fatto che esse posseggono degli orbitali elettronici detti “f”, diversi da quelli degli altri elementi. Questi orbitali sono piccoli, nascosti dalla restante nube elettronica dell’atomo a cui appartengono. Per questa ragione interagiscono molto poco nelle reazioni chimiche, dovute invece agli orbitali più esterni. Le terre rare, perciò, differiscono una dall’altra per il numero di elettroni all’interno degli orbitali “f”, piccoli e protetti, mentre interagiscono con gli altri elementi tutte in maniera simile, attraverso gli identici orbitali esterni. Ciò spiega perché sia così difficile separarle tra loro: formando tutte legami uguali, è molto difficile distinguere tra loro atomi di terre rare diverse e il processo di riconoscimento e separazione è arduo.
Ma le particolarità degli orbitali “f” non finiscono qui. Il fatto che essi siano protetti e nascosti dagli orbitali più esterni, permette una grande stabilità delle proprietà elettroniche delle terre rare. Quando due atomi si legano chimicamente, tra loro si instaura la condivisione degli orbitali elettronici più esterni, i quali però si deformano. Inoltre, dato un atomo con i suoi elettroni, le deformazioni dei suoi orbitali più esterni dipendono enormemente dal materiale a cui si lega, perciò materiali differenti modificano in maniera differente i suoi orbitali esterni di partenza. Ciò non avviene negli orbitali “f” delle terre rare, i quali, essendo protetti da orbitali più esterni, non risentono dei legami con gli altri materiali, rendendo inalterabili le proprie proprietà elettroniche.
In questo modo le caratteristiche ottiche e magnetiche determinate dagli orbitali “f” restano molto stabili all’interno di qualsiasi materiale composito, rendendo le terre rare attraenti dal punti di vista tecnologico. Un esempio eclatante è dato dai computer quantistici, che rappresentano l’ultima frontiera della tecnologia moderna. Una possibilità per costruirli è utilizzare i diversi stati di un elettrone come diversi bit di un normale computer. Va da sé che un elettrone, però, è un sistema molto instabile, e la più piccola perturbazione può modificarne completamente lo stato in cui si trova. Per questo le terre rare, grazie alla stabilità degli orbitali “f”, protetti e nascosti, sono potenzialmente adatte alla costruzione dei nuovi computer quantistici [3].
Dagli accendini ai computer quantistici, le terre rare si sono fatte largo nel progresso tecnologico e stanno diventando sempre più indispensabili al desiderio di crescita dell’umanità. La speranza è quella di riuscire a coniugare l’avanzamento tecnologico con un nuovo mondo pulito, sostenibile e giusto. Ma la logica che stiamo perseguendo fonda la conversione green ed ecosostenibile su materiali non sostenibili. Una sola pala eolica, per citare un esempio, può contenere centinaia di kg di terre rare. Di questo passo il rischio è che l’inquinamento, più che scomparire, cambi forma e si sposti dalle smart city moderne verso villaggi sperduti e poveri, lasciando la green society convinta di star perpetuando il bene del pianeta, mentre si dimentica chiunque stia fuori dalla contemporaneità.
[1] Rare-earth mining in China comes at a heavy cost for local villages:
https://www.theguardian.com/environment/2012/aug/07/china-rare-earth-village-pollution
[2] Japan pioneers extracting rare-earth elements from the deep sea:
https://www.nature.com/articles/d42473-020-00524-y
[3] Rare Earth Ions Drive Ultrafast Quantum Computing:
https://www.photonics.com/Articles/Rare_Earth_Ions_Drive_Ultrafast_Quantum_Computing/a66611